Tra le tante novità, spesso e volentieri a base di aumenti, nuove tasse e spese maggiorate, previste nel 2013, c’è anche l’introduzione dell’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego. Fa parte della legge di riforma complessiva del mercato del lavoro varata dal governo Monti, la 92/100 e tra i suoi diversi aspetti c’è anche quello che riguarda le collaboratrici domestiche, le cosiddette colf. Secondo quanto previsto dalla legge relativamente alla tutela economica di chi perderà il posto di lavoro, è previsto che chi decide di fare a meno della proprio collaboratrice domestica, cioè l’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per motivi come il licenziamento (e non le dimissioni volontarie del lavoratore) il datore di lavoro debba versare una cifra pari a 1451,30 euro all’Inps, come contributo per finanziare l’Aspi. La cifra viene calcolata in base all’ammontare di riferimento del contributo pari a 483,80 euro ogni dodici mesi di anzianità presso lo stesso datore di lavoro, parametrato poi alla durata del rapporto di lavoro con un massimo di tre annualità. Ecco che si possono pagare anche i quasi 1500 euro calcolati. Non contano cioè le ore effettive di lavoro ma solo la durata del contratto. La cosa curiosa come spesso succede nel nostro paese è che l’Inps non ha comunicato in quale modo vada effettuato il pagamento: si sa cioè che bisogna pagare ma non si sa come farlo. Attenzione però che comunque si pagherà. Dice infatti il testo del aleggi: “Il contributo è obbligatorio in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato successiva al 1 gennaio 2013, ad eccezioni di quelli dovuti a dimissioni o risoluzione consensuale.” Un problema da ricchi, si dirà, pensando che la domestica o il domestico di solito se li possono permettere chi ha un reddito piuttosto elevato, ma certamente anche di molti anziani che hanno bisogno di un aiuto in casa. Intato si sono già alzate le prime proteste, ad esempio da parte dell’Associazione Sindacale Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico (Assindatcolf) che ha giudicato questa norma “una limitazione alla libertà del datore di lavoro domestico di risolvere il rapporto in qualsiasi momento ed un onere economico eccessivo”.
L’associzione ha fatto sapere che si attiverà per chiedere l’eliminazione di questo contributo di licenziamento o almeno la sua correzione.