Pare inevitabile che a settembre Cgil, Cisl e Uil, da una parte, e Confindustria, dall’altra, mettano al centro della loro agenda e delle loro attenzioni il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Dopo l’intesa sulla contrattazione territoriale di metà luglio, considerando quanto sta maturando – anche con il Governo – sul terreno degli ammortizzatori sociali, manca solo l’atteso accordo generale (l’ultimo è del 2009, ma la Cgil non lo sottoscrisse) a chiudere il cerchio, visto inoltre quanto fatto sul piano legislativo a sostegno della contrattazione di secondo livello.
Susanna Camusso qualche giorno fa ha accusato gli Industriali di essere reticenti sul piano dell’accordo generale, gli ha risposto Vincenzo Boccia ricordando che Confindustria – in questo momento – sta rispettando la sovranità delle categorie, in particolare di Federmeccanica. A onor del vero, sono state proprio Cgil e Uil a non volere l’accordo ma gli accordi, nel senso che proprio un anno fa preferirono interrompere i negoziati con gli Industriali – prima del semestre bianco di Squinzi – e puntare sui rinnovi di settore, nella speranza che emergessero elementi di innovatività utili per il livello interconfederale. A ciò sono seguiti i rinnovi di chimici e alimentaristi, ma null’altro.
Forse nessuno aveva previsto la fermezza con cui Vincenzo Boccia ha affrontato la situazione, soprattutto nel merito del nodo retribuzioni, vero oggetto del contendere: nessun aumento se non in presenza di ricchezza prodotta, si legga in azienda. Questo per la comprensibile difficoltà di crescere i salari da contratto collettivo nazionale, e quindi in modo universale. È quanto la stessa Ue chiede all’Italia dal 2011, ovvero di dare più spazio alla contrattazione di secondo livello, pratica che oggi il Governo incentiva con decisione, cosa che al di là della questione salariale può essere terreno per la crescita di competitività, efficienza e innovazione.
Contingenza vuole che, però, questo forte rimando alla produttività aziendale avvenga nel momento in cui il rinnovo in discussione è proprio quello dei meccanici, settore che negli ultimi anni è sì foriero di importanti innovazioni – vedi caso Fiat -, ma che storicamente resta complesso e ruspante (lo è in tutta Europa) sul terreno delle relazioni industriali. Sta di fatto che la trattativa tra Federmeccanica e Fim, Fiom e Uilm è ferma, come noto, da mesi; tanto che i sindacati hanno indetto diversi momenti di sciopero.
Lo sblocco di questo rinnovo è importante per l’intera industria che, in gran parte, vede in modo positivo la crescita della contrattazione di secondo livello. Vista soprattutto la recente intesa sulla contrattazione territoriale, di cui abbiamo già scritto, si può pensare che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil siano già d’accordo circa il modello contrattuale e che sia solo questione di implementarlo. Va naturalmente risolto l’empasse sul fronte metalmeccanico, ma pare difficile che Fim, Fiom e Uilm possano da sole far digerire ai loro rappresentati un salto come quello che propone Federmeccanica, che non è niente di diverso dalla linea Boccia (la ricchezza si distribuisce laddove prodotta).
Restano ineludibili, tuttavia, le incognite che il cambio di passo comporterà: gli attori (imprese e sindacato territoriale) sono pronti? Quanto spazio troverà la contrattazione di secondo livello nel nostro tessuto produttivo composto prevalentemente da Pmi? Esistono alternative considerato l’attuale scenario economico? Come accompagnare lo spostamento del baricentro contrattuale? La derogabilità assistita può essere una pratica a supporto di tale processo come lo è, ad esempio, in Germania e in Francia?
La certezza è che la nostra economia deve tornare a produrre ricchezza. Il problema della distribuzione, ahimè, è un problema che segue…
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