Il SuperMinistro del lavoro e dello sviluppo economico ha ieri riferito alle commissioni riunite 10a (Industria, commercio, turismo) e 11a (Lavoro, previdenza sociale) del Senato della Repubblica. Ha fatto un lungo intervento, distinguendo le linee programmatiche dello sviluppo economico da quelle del lavoro, risultando tuttavia equivoco in alcuni passaggi che ancora rendono poco chiara – nonostante la sede – la comprensione di alcuni punti piuttosto centrali del suo impegno politico istituzionale, vedi superamento (o “licenziamento” come lui dice) del Jobs Act e reddito di cittadinanza.
Sulla questione Jobs Act, quanto e come questo sarà superato lo vedremo: sarà, per esempio, reintrodotto l’articolo 18? Sul discorso reddito di cittadinanza, ancora permane quell’ambiguità che dall’inizio mai è stata chiarita: si tratta di uno strumento di contrasto alla povertà o è uno strumento di politica del lavoro? Naturalmente, non si tratta di equivoci accidentali, semplicemente il Ministro Di Maio in questo momento preferisce sorvolare su alcuni aspetti applicativi, per quanto fondamentali per capire la natura dei provvedimenti possibili.
Ciò su cui invece è stato molto chiaro, riguarda – in materia di lavoro – il rilancio dei Centri per l’impiego e – in materia di sviluppo economico – il caso Ilva. Sul primo punto, possiamo dire – con qualche perplessità – che la capacità degli uffici di collocamento nell’intercettare la domanda di lavoro (aziende) è storicamente debole, ci sembrava si fosse fatto qualche passo avanti nella politica del lavoro. Così si torna a più di 20 anni fa, quando per la prima volta (1996) il servizio del pubblico impiego perdeva il suo monopolio a favore degli operatori privati. La Corte europea, in merito al ricorso contro la Job Centre, si pronunciava dicendo che non è giusto che lo Stato italiano operi in regime di monopolio e, soprattutto, nemmeno è in grado di rispondere da solo al matching tra domanda e offerta di lavoro. Il rilancio dei servizi per l’impiego avrà come effetto quello di aumentare la spesa e di riprodurre livelli di burocrazia che, in alcune regioni, erano stati superati dal ruolo crescente degli operatori privati dei servizi per il lavoro.
Per quanto riguarda Ilva, il caso sta conoscendo complicazioni pericolose perché Di Maio ha inviato al presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, i documenti relativi alla gara che a giugno 2017 si è chiusa con l’aggiudicazione del gruppo siderurgico in amministrazione straordinaria ad Am Investco, dando così seguito alla lettera inviatagli dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che gli ha segnalato possibili irregolarità nella gara e chiedendo allo stesso Ministro di interessare l’Anac.
Emiliano, in particolare, chiede a Di Maio di “disporre opportune verifiche sulla correttezza della procedura di gara espletata, eventualmente avvalendosi dell’Anac, organo deputato istituzionalmente alla vigilanza e controllo delle procedure di affidamento di contratti ad evidenza pubblica”. Emiliano mette a confronto le due offerte in gara un anno fa, ovvero Am Investco, controllata da Mittal, e Acciaitalia con Jindal e Cassa depositi e prestiti e dice che “la preferenza accordata” ad Am Investco “appare incongrua perché basata sostanzialmente solo sull’offerta economica senza alcuna considerazione degli aspetti qualitativi della medesima offerta”.
Di Maio, di fronte a questa richiesta, non poteva che inviare il dossier a Raffaele Cantone. Il caso che arriva ad Anac potrebbe segnarne il definitivo colpo di grazia, dopo la proroga del commissariamento al 15 settembre. Il contratto con Am Investco prevedeva una possibile proroga di 90 giorni dopo il 30 giugno, quindi – per il momento – la situazione resta ordinaria per quanto complessa. Oltre la data della proroga, Mittal potrebbe chiedere danni se la gara risulterà regolare, anche in considerazione del fatto che nessuno vi ha fatto ricorso. Secondo indiscrezioni, Anac potrebbe rispedire a Di Maio il dossier in 48 ore. E sono in molti ad augurarselo.
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