Com’è noto, il cosiddetto “cuneo fiscale e contributivo”, ovvero la differenza tra il costo del lavoro sostenuto dalle aziende e l’importo ricevuto dai lavoratori al netto delle tasse e dei contributi previdenziali e assistenziali, costituisce uno dei più rilevanti ostacoli all’occupazione e alla produttività del nostro Paese. Di norma, per redditi medi, il lavoratore percepisce una retribuzione netta inferiore al 50% del costo del lavoro sostenuto dalle aziende; e la retribuzione netta diminuisce ulteriormente per i redditi medio-alti (sino ad arrivare a circa un terzo del costo aziendale).
A fronte di vari provvedimenti, talora estemporanei e disorganici, posti in essere dal Legislatore per ridurre il “cuneo”, un’innovazione interessante, sviluppata negli ultimi anni e non ancora pienamente conosciuta e utilizzata dalle aziende e dalle organizzazioni sindacali, è certamente il sistema del cosiddetto “welfare aziendale”. Tale sistema, introdotto per la prima volta in modo organico in Italia dalla L. 208/2015 (Legge di stabilità 2016), ha reso possibile alle aziende pagare a terzi opere e servizi con specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria per i dipendenti (ex. art.51, comma 2, lett. f) del T.U.I.R, c.d. “oneri di utilità sociale”), ovvero rimborsare direttamente ai lavoratori le spese da questi sostenute per servizi a finalità educative e scolastiche rivolti ai familiari (ex. art.51, comma 2, lett. f-bis del T.U.I.R) e servizi di assistenza per familiari anziani o non autosufficienti (ex art.51, comma 2, lett. f-ter del T.U.I.R). Dalla sua introduzione tale sistema di incentivazione si è sviluppato sia sul piano quantitativo, con un progressivo aumento delle somme erogabili, sia sul piano qualitativo, con un notevole incremento dei servizi di welfare offerti.
Da ultimo, con la L. 232/2016 (Legge di Stabilità 2017) è possibile per i lavoratori usufruire, in aggiunta alle precedenti tipologie di spesa, anche di polizze e contributi per long term care e dread disease riguardanti il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana restando sempre necessario che lo strumento del welfare sia attribuito a tutti i dipendenti ovvero a categorie omogenee di dipendenti (turnisti, quadri direttivi, impiegati, ecc.: cfr. Circ. Min. 326/E/1997).Anche i cosiddetti “massimali annui” impiegabili nel sistema del welfare sono decisamente rilevanti: per le spese di sanità integrativa, di previdenza complementare e per il cosiddetto “carrello della spesa” è previsto un massimale annuo rispettivamente di 3.615,20 euro, di 5.164,57 euro e di 258,23 euro; mentre non vi è addirittura alcun limite massimo di spesa per i servizi ricreativi come viaggi, abbonamenti in palestra, cinema e teatro, corsi di aggiornamento, di lingue straniere e d’istruzione dei dipendenti, per i rimborsi delle spese scolastiche dei figli e dei servizi di assistenza ai familiari anziani.
In buona sostanza, se per pagare la retta scolastica di una “scuola paritaria” del proprio figlio un lavoratore spende 4.500,00 euro annui del proprio reddito netto, corrispondenti a circa 8.000,00 euro del proprio reddito lordo e a circa 11.000,00 euro di costo aziendale, con il sistema del “welfare” l’azienda può pagare direttamente la scuola del figlio del lavoratore (ex art. 51, comma 2, lett. f-bis T.U.I.R.) ovvero rimborsare al medesimo il costo sostenuto per la retta scolastica sostenendo un costo di 4.500,00 euro; e potrebbe persino pagare al lavoratore due rette scolastiche all’anno (ove il medesimo avesse due figli) conseguendo comunque un risparmio del costo aziendale (nel caso ipotizzato di 2.000,00 euro). Lo stesso sistema potrebbe attuarsi per le altre prestazioni e servizi di sopra indicati.
Si segnala peraltro che sono ormai numerose le aziende specializzate nell’attuazione e nello sviluppo di piattaforme welfare che consentono la gestione del sistema con portali di semplice utilizzo e con costi notevolmente contenuti. La ratio di tale strumento non è riconducibile soltanto alla riduzione del costo del lavoro, ma anche all’avvicinamento delle aziende ai lavoratori in una logica di collaborazione e di attenzione al welfare, come risulta dai lavori preparatori della Legge e come viene attuato positivamente da tempo dai più avanzati Paesi europei, realizzando così un clima aziendale più sereno (cfr. sul punto L. Pesenti “il welfare in azienda. Imprese smart e benessere dei lavoratori”).
In questo contesto, finalizzato a ricercare dinamiche di cooperazione più che di contrapposizione tra aziende e lavoratori, è frequente che vengano coinvolte le Organizzazioni sindacali, anche se ciò non è strettamente necessario al fine della attuazione del sistema welfare. È invece necessario il coinvolgimento delle Organizzazioni sindacali laddove le aziende vogliano “convertire” in welfare aziendale i bonus e i premi corrisposti annualmente ai dipendenti o a categorie di dipendenti più meritevoli.
Al riguardo le ultime Leggi di stabilità hanno accordato ai bonus e ai premi una tassazione agevolata del 10% con un massimale annuo di euro 3.000 lordi per i dipendenti aventi un reddito non superiore a 80.000 euro; la L. 208/2015 consente ora ai dipendenti di convertire i bonus monetari in servizi di welfare ottenendo così la totale detassazione e decontribuzione. Per ottenere tale beneficio è tuttavia indispensabile stipulare specifici accordi sindacali direttamente in azienda ovvero, per le aziende prive di rappresentanze sindacali, stipulare accordi territoriali con le articolazioni locali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative, ovvero aderire ad accordi quadro regionali per la detassazione dei premi di produttività. In particolare si segnalano per la Lombardia, l’Accordo Quadro Territoriale stipulato da Assolombarda con Cgil, Cil e Uil in data 18.7.2017 e l’accordo Confcommercio Lombardia con Cgil, Cisl e Uil Lombardia del 29.11.2016. L’adesione agli Accordi Quadro può agevolmente avvenire mediante la compilazione di un modello ove vengono specificate le caratteristiche del premio. L’accordo deve essere poi depositato telematicamente presso l’Ispettorato Territoriale del lavoro competente entro 30 giorni dalla sottoscrizione.
L’auspicio è che il welfare aziendale si estenda sempre di più, anche con l’apporto propulsivo delle Organizzazioni sindacali e dei consulenti specializzati, in particolare nelle piccole e medie imprese che costituiscono la parte maggiore del sistema economico produttivo del nostro Paese. Sono infatti numerosi i vantaggi che ne derivano, da un lato per l’ottimizzazione fiscale e contributiva delle retribuzioni, e dall’altro per la costruzione di un ambiente di lavoro collaborativo che sappia valorizzare e fidelizzare il capitale umano, fattore primario e determinante per la crescita e la competitività delle persone e delle aziende.
Vi sono poi numerose ricerche (si veda da ultimo il Rapporto 2017 Welfare Index Pmi) che dimostrano che le somme messe a disposizione dalle aziende per gli asili, le scuole, la salute e il benessere sono più apprezzate dai lavoratori persino rispetto al corrispettivo lordo in denaro.