Lo abbiamo imparato con gli anni a nostre spese: con le elezioni termina anche la campagna delle facili promesse e si è costretti a confrontarsi sui dati di fatto. Sapendo bene che governare i processi è altra cosa dal dispensare illusioni. Che poi dalle elezioni non esca una maggioranza chiara, coesa, capace di prendere decisioni per il bene di tutti, allora la cosa è ancora più grave. Perché è difficile ipotizzare quali possano essere le linee guida di un governo. Vedremo quale sarà l’evoluzione della cronaca politica.
Proviamo a capire nel frattempo, attraverso il tema del lavoro, come si orienteranno i partiti, nel caso si riesca a formare un governo. Se questo non succederà, le alternative le sappiamo: o un “governo del Presidente” per pochi mesi, o nuove elezioni. Cioè, ancora campagna elettorale. Il tema del lavoro, dunque. La cartina di tornasole è la posizione nei confronti della legge Fornero, quella sul mercato del lavoro. I dati sulla disoccupazione, soprattutto giovanile, la rendono la vera priorità di qualsiasi governo. Per il contesto recessivo e per la drammatica richiesta di una via d’uscita a questa crisi.
Due sono i punti decisivi della riforma Fornero che rientreranno in gioco: la modifica dell’articolo 18 sul licenziamento, attraverso indennizzo, per motivi economico-disciplinari; l’introduzione di barriere all’abuso dei contratti a tempo determinato. La combinazione di questi due aspetti, assieme al potenziamento dell’apprendistato, doveva rendere più flessibile il mercato del lavoro. Con maggiori opportunità per tutti. Doveva.
In realtà? Come ha dimostrato Confindustria, questa riforma ha, come primo effetto, creato più disoccupazione. Per parte sindacale, la modifica dell’articolo 18 ha reso più facile il licenziamento per motivi economici. Come per tutte le riforme, però, si sa che contano i tempi lunghi, cioè ci vuole del tempo per vedere gli effetti positivi. Mancando, dunque, una verifica a medio e lungo termine, è complicato capire se può funzionare, vista l’implicazione, a monte, di un mutamento di convinzioni e abitudini che è difficile immaginare possa avvenire entro pochi mesi. Perché non basta scrivere una riforma sulla carta; lo snodo vero tocca il vissuto di un mondo del lavoro ancora legato a un passato difficile da modificare: la realtà, cioè, non si predetermina sulla base di questa o quella riforma, ma, al limite, può registrarne, modificandone solo in parte, il tessuto dominante. E questo tessuto è conservatore. A tal punto da privilegiare i padri a scapito dei figli. Negando, per i troppi corporativismi, quella compartecipazione al valore dell’impresa, propria di un’economia sociale, che in Italia è ancora una meta lontana.
La riforma Fornero, insomma, andava fatta in un periodo di crescita economica, mentre, se fatta in un momento di recessione, finisce per produrre gli effetti che oggi tutti denunciano. Se lo snodo del lavoro è una cruna dell’ago della qualità di una proposta politica, davvero incisiva, vediamo allora le proposte emerse in campagna elettorale.
Per il centrosinistra troviamo da un lato Vendola che è tra i firmatari, assieme ai partiti che hanno appoggiato lo sconfitto Ingroia, del referendum sull’articolo 18, e dall’altra la contrarietà di Bersani. L’unica novità di rilievo è l’idea di abbassare il costo dei contributi dei contratti dei precari. Per il centrodestra ricordiamo tutti Alfano, con la proposta di abrogazione in toto della legge Fornero e il ritorno alla legge Biagi.
La coalizione guidata da Monti ha ripreso la flex-security di Ichino: la riforma Fornero sarebbe mantenuta per i contratti in vigore, ma, per le nuove assunzioni, sarebbe previsto un nuovo contratto di lavoro, un unico contratto a tempo indeterminato per la stragrande maggioranza delle tipologie di lavoro a tutele crescenti e un parallelo abbassamento dei costi di licenziamento, accompagnato a politiche attive di reinserimento. Ma il fallimento elettorale del professore rende queste idee nei fatti poco rilevanti. Stranamente, nel programma del movimento di Beppe Grillo non si parla della riforma del lavoro. Troviamo solo due cenni veloci, all’interno del capitolo dedicato all’economia: l’abolizione della legge Biagi e un sussidio di disoccupazione garantito. Senza dire il come.
A questo punto, visto come sono andate le elezioni, siamo tutti in attesa di capire cosa succederà, tra l’ipotesi “governissimo”, un governo monocolore che naviga a vista, un nuovo esecutivo tecnico e un veloce ritorno alle urne. Alla politica, cioè, spetta ora il compito della sintesi, di una mediazione che si faccia capace di rispondere alle mille domande drammatiche che ritroviamo nel tessuto socio-economico.