Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, ha annunciato il varo di un decreto che assegna alle imprese un bonus per l’assunzione di lavoratori licenziati da piccole imprese (piccola mobilità) per giustificato motivo oggettivo. Il bonus assunzione è di 190 euro mensili per un anno nel caso di contratto a tempo indeterminato o 6 mesi nel caso di contratto a tempo determinato. Il bonus assunzione sarà gestito dall’Inps fino al limite delle risorse stanziate, pari a 20 milioni di euro. C’è da precisare che questo bonus è rivolto a lavoratori licenziati per giustificato modificato oggettivo, connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività e di lavoro, o con procedimento collettivo da imprese con più di 15 dipendenti. La prassi precedente prevedeva che questi lavoratori potessero iscriversi nelle liste di mobilità e fruire delle indennità previste. Un semplice passo avanti? Una boccata d’ossigeno in un momento di così grave crisi economica, dove le aziende continuano a essere in difficoltà e a chiudere i battenti? Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro all’Università Bocconi, commenta il provvedimento come se effettivamente si trattasse di una boccata d’ossigeno. Ma specifica subito: «Mi sembra, in una situazione come questa, come quella che stiamo vivendo, un provvedimento tampone. L’entità poi stanziata, 20 milioni, mi sembra una goccia rispetto al bisogno reale».
Quale alternativa si doveva attuare?
Credo che si debba arrivare ad avere più coraggio in alcune scelte e occorre operare per scelte strutturali. Cerco di spiegarmi. Qui si tratta di una serie di sgravi fiscali per le Pmi. Ma se si guarda all’entità del fondo, o comunque quando si tratta di un fondo con uno stanziamento prestabilito, è possibile che si possa ripetere una situazione come quella degli “esodati”. Vale a dire che quelli che arrivano prima riescono a salvarsi, ma poi molti altri possono restare esclusi. Naturalmente tengo conto anch’io che è sempre meglio qualcosa piuttosto che nulla. Ma in tutti i casi ritengo che siamo davanti a provvedimenti tampone, che non hanno il carattere di un’innovazione sistemica.
A quali soluzioni penserebbe lei?
La necessità principale è quella di far ripartire il lavoro, evitando di far cadere nel “nero” molte persone che hanno perso un lavoro. In pochi anni ci sono 200mila giovani che il lavoro lo hanno perso e quindi sono spariti anche dalla lista dei contribuenti. Allora occorre fare una scelta coraggiosa, che può rivelarsi una spesa all’inizio, ma in seguito può rivelarsi un investimento vincente. Ridurre l’aliquota del contratto di lavoro dal 33% al 10% per i giovani. Credo che nel giro di tre anni potremmo ottenere buoni risultati.
Il problema probabilmente è di copertura finanziaria.
Credo che si possa trovare. Ma in tutti i casi non si può non far ripartire il lavoro, sia per gli aspetti sociali che crea una disoccupazione come quella attuale, sia per i problemi connessi all’economia del Paese e alle finanze dello Stato. Con il crollo del lavoro crollano inevitabilmente anche le entrate dello Stato. E in un momento come questo, non si ricorrere solo a provvedimenti tampone, anche se possono rappresentare una boccata d’ossigeno.
(Gianluigi Da Rold)