Non è semplice per nessuno, ma soprattutto per la Fiom, che le ha promosse, fare un bilancio delle manifestazioni contro il “metodo Marchionne” o il “sistema Mirafiori”. Può darsi che il segretario dei metalmeccanici, Maurizio Landini, sia fiero di guidare l’ultimo baluardo di un sindacalismo da “primo Novecento”. Tuttavia Maurizio Landini dovrebbe fare i conti con il suo isolamento.
Al momento, il sindacato dei metalmeccanici è isolato nel Paese, dove la “ricetta Marchionne” ottiene consensi; è isolato anche tra i sindacati, dove cova sempre più un’aria di risentimento; appare più isolata anche nella Cgil, cioè nel suo sindacato generale. Difficile stare solo contro tutti, in un confronto che sembra non ammettere mediazioni.
Il fatto in sè, il fatto di questo aggressivo isolamento della Fiom, non è affatto positivo neppure in un contesto generale. Non va bene alla situazione e alla storia del movimento sindacale italiano; non serve a migliorare il problema delle relazioni industriali; crea soprattutto una “sacca” ribellistica nel sindacato che si lega a settori alternativi della società italiana che cercano di politicizzare strumentalmente la protesta della Fiom in uno scontro frontale contro quello che viene chiamato l’asse Marchionne- Berlusconi. Il risultato è che il sindacato si mette frontalmente anche contro il Governo, oltre che contro l’amministratore delegato della Fiat. Ed è anche per questa ragione che il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, non è riuscito a esercitare maggiori funzioni di mediazione. Maurizio Landini, il segretario della Fiom, continua a dire che vede sindacati e ministri “fare il tifo” per la linea Marchionne, ma non si rende conto che la sua intransigenza non serve affatto a evitare questo “tifo” e a cercare di aggregare alleati sulla sua linea.
La più lampante dimostrazione di tutto questo sta nella manifestazione di Bologna, dove Landini è arrivato a scandire dal palco: “Credo sia il momento di dire con chiarezza che tutta la Cgil mette in campo lo sciopero generale in tutto il Paese, per sconfiggere Confindustria e cambiare governo in questo Paese”. Con questa dichiarazione, Landini ha esposto il suo segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ai fischi della piazza e l’ha quasi strattonata verso una scelta che la maggioranza del sindacato e dei lavoratori italiani non condivide.
L’impressione è che la Fiom si sia quasi “ubriacata” anche per il risultato del referendum di Mirafiori di metà gennaio. Il fatto che i “no” all’accordo proposto da Marchionne abbiano ottenuto una più che onorevole sconfitta sul filo di lana, con un 46%, ha indotto la Fiom ad alzare ancora di più i toni. Al contrario, una politica sindacale accorta avrebbe dovuto far pesare quel 46% in modo politico. Avrebbe dovuto indurre ad aprire un rinnovato dialogo con gli altri sindacati, facendo loro presente che il 46% è una forza con cui fare i conti.
Nel momento del referendum a Mirafiori, la Fiom aveva infatti dimostrato la sua forza nella fabbrica, la sua indiscutibile presenza, che non poteva essere esclusa. Quel risultato era indubbiamente la miglior risposta alla prova di forza voluta anche da Marchionne. Ma, nello stesso tempo, i metalmeccanici della Cgil avrebbero dovuto prendere atto che, anche se di misura, erano stati battuti e che l’accordo era passato. C’era poi da considerare che il referendum era stato un "momento caldo", un momento di massima mobilitazione e di partecipazione, che poi sarebbe rientrato in una sua giusta misura, fisiologica. In altri termini, i tanti "no" erano anche il frutto di un disagio, vissuto intensamente e occasionalmente, più ampio della presenza Fiom a Mirafiori.
Analizzando freddamente le cose, i risultati, le situazioni oggettive ,sembra che la Fiom indirizzi costantemente la sua politica sindacale su una sorta di "escalation" di risentimento e di rancore, non sulla classica linea dell’accordo migliore. C’è chi sostiene, con una certa ragione, che la Fiom a Mirafiori sia ancora legata alla sconfitta del 1980. E a questo "preistorico" risentimento, oggi la Fiom aggiunge, ancora più indispettita e risentita per la sconfitta di misura nel referendum, altro risentimento.
Il corso della manifestazioni di questi giorni è una fotografia abbastanza significativa di questa situazione. Se a Bologna si fischia Susanna Camusso, a Milano i "compagni" studenti vanno a manifestare, con toni piuttosto violenti contro Confindustria e altri "alternativi" pensano di andare ad assaltare una sede della Uil. In questo modo, anche chi ha dubbi sulla linea di Marchionne, alla fine si rassegna a vivere l’accordo Fiat, pensando che non ci siano alternative.
Realisticamente, un grande sindacato che è, per sua natura e funzione, riformista, non può vivere di risentimenti e di contrapposizioni dure. Il rischio in questo caso non è soltanto l’isolamento, ma una stato di marginalizzazione, con connotati di anarco-sindacalismo, che lo possono solo spingere a collegarsi ai settori alternativi della società italiana.
Ma è questa la fine che spetta a un grande sindacato come la Fiom? In sostanza collegarsi ai furori giustizialisti di qualcuno legato a salotti televisivi e a circoli studenteschi largamente minoritari? È auspicabile, per il bene di tutti, che questo non avvenga.