La Legge 92/2012 (la cosiddetta “Riforma Fornero”) si proponeva, tra le sue finalità, di ridistribuire in modo più equo le tutele dell’impiego, da un lato contrastando l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento, in particolare con riguardo alle “nuove” tipologie contrattuali; dall’altro adeguando, contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento, la disciplina del licenziamento (il nuovo articolo 18 “alla tedesca”), con previsione altresì di un procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle relative controversie.
Nei mesi scorsi e, soprattutto, in quelli che verranno avremo modo di testare certamente l’efficacia delle scelte che il legislatore e il governo dei tecnici hanno compiuto in materia di rito del lavoro e di effetti del licenziamento in termini di tutele reali e obbligatorie. A oggi, infatti, dobbiamo constatare dalla lettura dei dati provenienti dalle Comunicazioni Obbligatorie come si stia registrando un significativo incremento dei licenziamenti (+15,1% pari a 43.256 unità) a cui si accompagna, senza nesun chiaro nesso causale dimostrabile a livello statistico, una diminuzione delle dimissioni (-17,6% pari a 74.065 unità).
I dati, è opportuno ricordarlo, si riferiscono al solo quarto trimestre del 2012, rendendo così ancora più preoccupante l’analisi degli effetti di questa crisi economica e occupazionale che continua ad abbattersi duramente sul nostro tessuto produttivo. Colpisce, inoltre, come di fronte a tali dati il ministero del Lavoro abbia sentito la necessità di offrire puntuali precisazioni sulle informazioni relative alle attivazioni e alle cessazioni dei rapporti di lavoro registrate dal rapporto delle Comunicazioni Obbligatorie sopracitato.
Nello stesso comunicato si deve, infatti, ammettere come ancora non si siano manifestati gli auspicati effetti positivi previsti dalla recente riforma del mercato del lavoro, in particolare con riferimento alla diminuzione del tasso di disoccupazione. Si conferma, anche in questo caso, che l’occupazione non viene “prodotta” per legge o per decreto, ma, altresì, scommettendo sulla promozione di un sistema di “fare impresa” competitivo e sulla valorizzazione delle competenze di chi opera nei diversi contesti lavorativi.
Nei prossimi mesi, tuttavia, sarà necessario adottare dei correttivi all’impianto complessivo della riforma e, in particolare, rilanciare un piano complessivo di politiche attive per il lavoro che mettano, appunto, al centro la persona che lavora e l’impresa quale luogo fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
In questo quadro, gli operatori del mercato del lavoro più qualificati, pubblici e privati che siano, e le Parti sociali, anche attraverso le strutture della bilateralità operanti sul territorio e la loro capacità di essere presenti sui luoghi di lavoro e di sottoscrivere “buoni” accordi nell’interesse dei lavoratori e delle imprese, saranno, quindi, chiamati a fare la loro parte per contribuire al rilancio del Paese e lasciare meno solo chi sta vivendo sulla propria pelle gli effetti della più grande crisi economica del secondo dopoguerra.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com