Ieri è stata messa a disposizione dall’Istat la ricostruzione delle serie storiche trimestrali relative ai principali indicatori del mercato del lavoro. Con questi dati si può analizzare, dal 1977 a oggi, l’andamento del mercato del lavoro. I dati mostrano con evidenza i diversi momenti positivi e negativi passati e, nel contempo, il periodo di profonda criticità che stiamo attraversando.
Tra il 1977 e oggi gli occupati, in valore assoluto sono aumentati, passando da 18,5 milioni a oltre 22,8 milioni; soprattutto è aumentata la popolazione femminile che è passata da 6 a 9 milioni circa, con un incidenza sul totale degli occupati cresciuta di circa 10 punti percentuali, assestandosi oggi al 41,3%. D’altro canto è la disoccupazione a mostrare gli andamenti più altalenanti, con i picchi più elevati del tasso di disoccupazione (TD) che si riscontrano nel 1987 (10,5%), nel 1997 (11,4%) e nel 2012 (10,7%). Le differenze territoriali sono molto forti con il sud del Paese che supera il nord di un valore del tasso di disoccupazione superiore al 130%, nel 2012 infatti, il TD al nord è pari al 7,5% e al sud al 17,4.
In questi 35 anni si è modificata profondamente la composizione dell’occupazione per settore. L’agricoltura e l’industria hanno perso continuamente quote che sono andate a favore del processo di terziarizzazione che ha caratterizzato l’intero periodo. L’agricoltura è più che dimezzata, passando da una quota di occupati dell’11% del 1977 al 3,9% del 2010; così anche l’industria che ha perso negli stessi anni circa 10 punti percentuali assestandosi nel 2010 al 28,5%, mentre il terziario è arrivato al 67,6% aumentando di 17 punti. Siamo ancora un Paese con una forte presenza del settore industriale ma certamente, come è successo anche in tutti i paesi più avanzati, la struttura settoriale si è modificata ed è il terziario che caratterizza il mercato del lavoro con quote di occupati sempre più rilevanti.
Un ulteriore cambiamento lo si trova nella distribuzione della posizione lavorativa. È aumentata in percentuale la quota dei lavoratori dipendenti rispetto agli autonomi: si passa dal 68,8% al 75,2%. Questa variazione è principalmente dovuta alla crescita dell’occupazione dipendente della componente femminile, che nel periodo è cresciuta di oltre 15 punti percentuali assestandosi al 2012 all’81,7%, mentre quella maschile è al 70,5%.
L’ultima osservazione, sui dati delle serie storiche, è relativa alla disoccupazione giovanile. Anche qui, il tasso di disoccupazione è stato altalenante, ma con valori mediamente sopra il 20%; per diversi anni (tra il 1983 e il 1989) il TD dei giovani tra 15 e 24 anni è stato di circa il 30%, è poi sceso di qualche punto percentuale, risalito nell’intorno del 30% nel 1997 per poi scendere fino a quasi il 20% nel 2007 e 2008. Con l’avvento della crisi finanziaria ed economica di questi anni, il valore è risalito significativamente raggiungendo nel 2012 il 35,3%. Il valore più alto degli ultimi 35 anni. Tale valore è molto differenziato nel territorio: al sud un giovane su due non ha lavoro (TD al 46,9%); al centro uno su tre, il TD è al 34,7%; infine al nord uno su quattro, il TD è al 26,6%.
Questi dati mostrano con evidenza le criticità in cui ci troviamo che hanno una particolarità rispetto agli altri momenti di crisi passate: la velocità, rapidità con la quale criticità economiche e finanziarie si ripercuotono sull’occupazione. Nel 2007 avevamo raggiunto il valore più basso degli ultimi 35 anni (6,1%), arrivando sostanzialmente da dieci anni di discesa del tasso di disoccupazione che nel 1998 era all’11,3%. Dal 2008 con l’avvento della crisi la disoccupazione è cresciuta rapidamente, passando il TD dal 6,8% del 2008 al 10,7% del 2012. Cinque punti sono stati recuperati in circa dieci anni e negli ultimi quattro ne abbiamo persi quattro con il rischio che anche il 2013 veda incrementare tale valore.
Questo fatto con gli altri evidenti problemi sotto gli occhi di tutti creano molte preoccupazioni per le persone, le famiglie, per le imprese e in particolare per i giovani e per la prospettiva del loro futuro. La mancanza di scelte e decisioni rapide comporterebbe ulteriore crescita dei problemi occupazionali. Serve al nostro Paese un governo che sappia intervenire tempestivamente sulla crescita economica, sostenendo le imprese in percorsi di innovazione e crescita e le persone, attraverso servizi e politiche a supporto dello sviluppo del loro percorso lavorativo e professionale.
Non un governo che butti acqua sul fuoco per ottenere consensi populisti, ma un governo che abbia idee nuove, attivi le riforme strutturali di cui il nostro Paese a bisogno e valorizzi in ottica sussidiaria le molteplici risorse di cui disponiamo: creatività, solidarietà e innovazione.