Il Milan ha presentato Ricardo Kakà, grande ritorno in rossonero dopo quattro stagioni. Tra aneddoti sulla trattativa (divertente il siparietto tra lui e Adriano Galliani sulle telefonate tra i due, che non riuscivano a trovarsi), domande sulla condizione fisica e grandi emozioni (riproposto il video con le giocate del primo Kakà rossonero sulle note di “Amici mai”, il vero tormentone dell’estate e di questi ultimi giorni), c’è stato spazio anche per qualche considerazione tecnica. In tal senso, attenzione alle parole di Galliani: “Al di là del sentimento, che c’è e non si nega, abbiamo ripreso Kakà in totale accordo con Massimiliano Allegri”, ha detto l’amministratore delegato. “Nel momento in cui abbiamo venduto Boateng, abbiamo capito che non c’era modo di giocare ancora con il 4-3-3, e che bisognava pensare al trequartista”. Ecco il punto nevralgico: il Milan è abituato a essere una società dai grandi effetti speciali. Non ce ne vogliano i tifosi: non è necessariamente un male. La firma in diretta tv di Ronaldinho e l’immagine evocata da Galliani dell’avvocato Cantamessa che in scooter fa lo slalom tra il traffico milanese post-ufficio per depositare in tempo utile il contratto in Lega Calcio è già nella leggenda delle trattative di calciomercato, così come la torta di compleanno per Bojan Krkic riproposta in più salse in diretta tv giusto un anno fa. Che poi le cose non siano andate come sperato non cancella le suggestioni, come dire: non è detto che spettacolo e concretezza non possano andare a braccetto. Stavolta, però, qualcosa stona; ben più di quando, estate 2008, Andriy Shevchenko fece il suo ritorno al Milan. Perchè all’epoca il bisogno c’era: Pato era giovane, Filippo Inzaghi aveva già 35 anni e un attaccante in più poteva servire. Qui, qualche conto non torna. Pensiamoci: intanto, il ritorno al come decisione risale al primo vertice di Arcore, quello dal quale Massimiliano Allegri è uscito con la conferma. Che non sia mai stato proposto nelle prime uscite e nelle amichevoli sembra più che altro una questione di contingenze: Montolivo più utile a centrocampo, Saponara con la pubalgia, Boateng poco adatto al ruolo tanto da essere spostato a destra nel tridente offensivo. La prova di ciò – del Boateng non trequartista – è data dal fatto che per tutta l’estate il Milan abbia provato a piazzare Niang in prestito. Come a dirgli: non c’è spazio per te. Poi, in due giorni, cambia tutto: il ghanese va allo Schalke 04, Galliani compra Matri e va a Madrid a prendere Kakà. Le stonature aumentano: che fine ha fatto la fiducia a Saponara? Forse che i suoi problemi fisici siano più gravi del previsto, tanto da aver aperto a una soluzione di emergenza? E se davvero il ritorno di Kakà era un’operazione “difficilissimissima”, come l’ha definita l’ad, com’è stato possibile realizzarla nello spazio di 24 ore? Gatta ci cova, ovvero: i rossoneri progettavano da tempo il ritorno di Kakà, almeno da quel famoso e già citato summit; e sapientemente hanno mescolato e ridistribuito le carte sul panno verde del calciomercato in modo da avere in mano la giocata vincente. Perciò, la domanda è legittima: davvero Kakà è tornato per ragioni tecniche, e davvero le questioni di cuore non hanno offuscato le idee tecniche del Milan al punto da togliere spazio a El Shaarawy? Già, perchè Alessandro Matri, per il quale sono stati spesi 12 milioni di euro, sembra più adatto del Faraone a giocare al fianco di Balotelli con un trequartista alle spalle. Se lo chiede anche qualche tifoso che, siamo certi, apprezza che Galliani snoccioli dati sui punti realizzati negli ultimi cinque anni e sulla partecipazione ai gironi di Champions League; ma decisamente preferirebbe vincere qualche titolo in più, perchè Inter e Juventus hanno racimolato meno punti ma vinto più scudetti (due a testa). E siccome la storia la scrive chi vince, ai rossoneri converrà che il ritorno di Kakà funzioni per davvero, e non solo come suggestione emozionale. (Claudio Franceschini)