L’entusiasmo con il quale il governo, sul fronte previdenziale, era partito, sembra già smorzato dalle circostanze: la consapevolezza che le scarse risorse limiteranno all’osso i margini d’azione è sempre più forte. Non è chiaro se ci saranno i soldi necessari per introdurre, anzitutto, meccanismi di flessibilità che consentano di scegliere quando andare in pensione, entro un range compreso trai 62 e i 70 anni, in base a disincentivi e incentivi. Né se la staffetta generazionale (un lavoratore anziano lascia gradualmente l’azienda, accettando un part time, in cambio dell’assunzione di un giovane) sia fattibile. L’unica certezza, per il momento, è che sarà necessario dare una volta per tutte risposta alla vicenda degli esodati. Carlo Alberto Nicolini, avvocato e docente di Diritto del lavoro, ci spiega quali prospettive si prefigurano.
Secondo lei, è opportuno e legittimo mettere mano alla riforma?
Per il momento, la questione più urgente è quella degli esodati. Si tratta, infatti, di persone che avevano prospettato di arrivare al pensionamento entro un certo anno, e che, di conseguenza, hanno effettuato delle scelte che hanno profondamente inciso sulla loro vita.
Va risolta una volte per tutte o con gradualità?
Oggi la necessità di verificare le risorse è un imperativo categorico dal quale non si può prescindere. La riforma alla Costituzione che ha introdotto la regola d’oro del pareggio di bilancio prevede che qualunque spesa ipotizzata sia coperta, mentre siamo vincolati alle norme europee. L’obbligo di agire con una certa cautela è imposto, quindi, dall’assetto delle attuali normative.
Una volta posto rimedio alla vicenda degli esodati, come va cambiata la disciplina pensionistica?
Oggi la modifica della disciplina viene intesa come un modo per utilizzare le pensioni, in questa fase di contrazione dei livelli occupazionali, come ammortizzatore sociale. Per il datore di lavoro, infatti, è molto più facile gestire l’esubero del dipendente se questo è più vicino all’età pensionabile. Probabilmente, tuttavia, invece che anticipare la pensione potrebbe essere più opportuno potenziare gli ammortizzatori sociali e, in particolare, l’Aspi, in modo tale da consentire al lavoratore esuberato di essere ricollocato nel mercato occupazionale. Detto questo, di per sé, la flessibilità alla studio del governo potrebbe rappresentare un fattore positivo.
In che termini?
Anzitutto, l’idea non è nuova. In parte, è già prevista dal nostro ordinamento. Potenziarla in base alle ipotesi previste dal governo farebbe in modo che, da un lato, andare prima in pensione produca penalizzazioni piuttosto pesanti, ma, dall’altro, per alcuni potrebbe essere comunque conveniente.
Cosa intende?
Per esempio, un lavoratore anziano che deve accudire i genitori, o i nipoti più piccoli, rinuncerebbe a parte dell’assegno, ma non dovrebbe più spendere soldi in badanti o babysitter.
Come giudica l’idea di introdurre la staffetta generazionale?
Affinché questi meccanismi funzionino è necessario che i diretti interessati, ovvero i lavoratori e l’azienda, abbiano una convenienza. Significa, quindi, che sarà necessario cedere loro qualcosa in termini economici. E’ evidente che al lavoratore che va prima in pensione dovranno essere versati interamente in contributi. Resta il fatto che qualunque modifica necessita di finanziamenti. L’unica speranza, in tal senso, è che finalmente riparta l’economia e che grazie alla ripresa le imprese siano nuovamente in grado di garantire benessere e occupazione.
(Paolo Nessi)