Parlare di welfare aziendale oggi significa ripercorrere le riflessioni che in questi ultimi 10-15 anni sono state fatte rispetto al tema del “giusto compenso” o meglio di come individuare per le aziende la miglior strategia retributiva.
È diffusa la consapevolezza – in azienda e nelle persone – che il “giusto compenso” non sia più riconducibile esclusivamente alla leva monetaria, ma a una visione del reward più articolata dove ai soldi si affianca la formazione, le iniziative di crescita professionale, la gestione della performance da parte dei capi, l’ambiente di lavoro e i benefit.
La nascita della teoria del total reward alla fine degli anni ‘80 parte dal presupposto che le leve per attrarre, trattenere e motivare le persone in azienda siano più complesse e articolate della semplice leva monetaria: avere un Senior Management realmente interessato al benessere dei dipendenti dell’azienda, lavorare in un’azienda dove le regole di gestione siano chiare e comunicate, avere un capo che gestisce la performance, riuscire a conciliare vita privata e vita lavorativa sono le principali motivazioni che portano le persone a rimanere in un’organizzazione e a sentirsi motivate.
Sullo sfondo di questo approccio abbiamo il contesto economico sociale in costante cambiamento, i confronti e gli scontri generazionali che portano all’interno dell’organizzazione nuovi tipi di bisogni. Non è un caso che nell’ultimo periodo si parli e si scriva molto di diversity management come approccio strategico alla gestione delle persone.
L’incrocio tra la ricerca delle leve per attrarre, trattenere e motivare le persone e le differenze presenti nell’organizzazione che trovano nel “diversity management approach” la loro massima espressione ha portato e porta più o meno consapevolmente le aziende sia a progettare e realizzare sistemi di reward articolati che a chiedersi come potrà evolvere la gestione retributiva e il concetto di “giusto compenso”.
È in questo contesto che si dipana attorno ad alcune parole chiave – cambiamento, differenziazione e segmentazione – la riflessione sul tema del welfare aziendale e sulle esperienze concrete che le aziende stanno conducendo. Con la speranza che non si tratti di esperienze spot, ma di situazioni destinate a stabilizzarsi in un approccio di sistema.
Ma facciamo un passo indietro. Per affrontare il tema del welfare aziendale è opportuno chiarire di cosa si tratti. Ma proprio partendo da questo punto scopriamo una cosa interessante: non esiste un concetto condiviso di welfare aziendale, ma soltanto alcune caratteristiche comuni. Il welfare aziendale è stato definito come “concetto che descrive il ruolo assunto dall’azienda nel garantire e sostenere i diritti individuali dei lavoratori andando a intervenire in ambiti solitamente del welfare pubblico – pensionistico, sanitario, del lavoro, dell’assistenza sociale – al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone” (Riccò, Gilardi, Solari IX Conferenza internazionale in ricordo di Marco Biagi).
Ma c’è una visione alternativa: il welfare come l’insieme delle “iniziative nelle quali le imprese si fanno carico dei bisogni primari del lavoratore concedendo dei benefit non in denaro, bensì di prima necessità e in servizi. I piani di welfare, quindi, rispondono ad una funzione di integrazione sussidiaria alle esigenze di varia natura dei lavoratori e/o della loro famiglia, grazie alla messa a disposizione di risorse private aziendali” (Adapt, Ronca 2/3/11).
C’è poi una visione che contestualizza il welfare aziendale come “ruolo delle aziende nell’amministrare i diritti di cittadinanza individuali” in modo particolare i diritti sociali (Matten D.; Crane A. 2003).
C’è però una caratteristica comune: le imprese, mettendo a disposizione risorse private aziendali, assumono un ruolo di integrazione sussidiaria rispetto alle esigenze di varia natura dei lavoratori e della loro famiglia, garantendo e sostenendo i loro diritti individuali attraverso interventi in ambiti solitamente coperti dal welfare pubblico (pensionistico, sanitario, assistenza sociale).
Gli studi retributivi su questi aspetti dimostrano che le prestazioni non monetarie crescono in modo significativo a tutti i livelli dell’organizzazione e che, quindi, questo è un trend sempre più consolidato.
(Simonetta Cavasin, Od&M Consulting)