Con le decisioni prese giovedì, il Consiglio dei ministri ha rispettato la tabella di marcia dei decreti attuativi del Jobs Act. È sicuramente un punto a favore per chi ha voluto fortemente attuare una profonda riforma del mercato del lavoro per allineare anche il nostro Paese alle politiche europee di workfare. Se davvero avremo un mercato del lavoro più fluido, capace di mettere in contatto domanda e offerta di lavoro in tempi e modalità più semplici, si vedrà nel medio periodo.
I primi mesi di attuazione delle nuove forme contrattuali sono incoraggianti. Sarà però la capacità di intervenire anche nella ripresa economica a indicarci se le misure decise saranno in grado di rendere migliore un mercato del lavoro per troppo tempo ingessato e ingiusto.
L’ultimo pacchetto di decreti attuativi riguarda l’altro aspetto fondamentale del sistema di workfare: creare un’agenzia nazionale delle politiche attive che assicuri a chi si trova con problemi occupazionali che sarà preso in carico da un sistema di servizi finalizzati a trovargli una nuova occupazione. È qualcosa di completamente nuovo per il nostro Paese. Finora non avevamo un’agenzia nazionale e i servizi al lavoro, dipendenti dal sistema provinciale, erano uffici con competenze più di ordine amministrativo che operativo. La competenza degli interventi è peraltro delle Regioni e alcune hanno in questi anni legiferato e dato vita, con i limiti delle competenze regionali, a sistemi di intervento capaci, come nel caso della Lombardia, di innovare i servizi attivi al lavoro.
Il passaggio a un sistema nazionale era però indispensabile per dare universalità a un diritto che non poteva più essere assicurato, peraltro con tutele diverse, solo su base territoriale. Si sono create così situazioni ridicole di lavoratori espulsi dalla stessa azienda ma residenti in regioni diverse che avevano servizi di sostegno alla ricollocazione con tutele diversificate.
Il decreto prevede che per i servizi siano attivate, oltre ai Centri per l’impiego pubblici, le Agenzie private per il lavoro. Anche questo è un punto di svolta per la tradizione italiana. Come ciò avverrà è però da valutarsi nell’attuazione dell’agenzia nazionale. Come abbiamo più volte segnalato, può diventare un baraccone centralistico o un pivot nazionale che programma e valuta le politiche attuate sul territorio.
Vi sono perciò da gestire bene alcune questioni a partire da chi andrà a comporre l’organico dell’agenzia. Italia Lavoro e Isfol come agenzie preesistenti. Serviranno inoltre competenze oggi in Inps per coordinare l’erogazione dei sostegni al reddito con le politiche attive fornite a garantire la condizionalità di politiche passive e ottemperanza negli impegni delle politiche attive.
Scoglio altrettanto importante è il rapporto/coinvolgimento delle Regioni. A Costituzione immutata, molte competenze sono regionali e quindi l’universalità non può che riguardare livelli essenziali dei servizi senza intaccare le esperienze positive già in essere. L’obiettivo di sostanza non può che essere però di dare il meglio a tutti e quindi estendere le best practices già in atto in alcune regioni agli altri territori.
Come verranno sciolti operativamente i nodi ricordati sarà determinante per una valutazione. Le attese sono reali. Chi cercherà aiuto per ritrovare lavoro non vorrà sentirsi rispondere che dobbiamo definire le competenze dei diversi uffici, ma avere un contributo reale. La pessima esperienza di Garanzia giovani deve servire perché sia insediato un coordinamento attuativo dell’agenzia nazionale che sia valutato sulla base della efficacia dei servizi che renderà a breve ai lavoratori.
Centrale deve essere la persona coi suoi bisogni. L’obiettivo deve essere chiaro, chi ha problemi di lavoro ha diritto a essere preso in carico da chi è in grado di offrirgli un servizio di ricollocazione e tutto il resto viene dopo e potrà essere sistemato garantendo a chi già impegnato in questi servizi un passaggio ad agenzie nazionali o locali.
Senza questo impegno non potrà avere l’impatto necessario anche l’altra parte del provvedimento approvato, che riguarda una rimessa in ordine del sistema di ammortizzatori sociali. Il principio attuato è di riportare il sistema di Cig a essere finalizzato a reali processi di ristrutturazione industriale, limitarne quindi la durata ed estenderlo a tutte le imprese. Sarà indispensabile definire prima della cassa integrazione la possibilità di attuare contratti di solidarietà e non sarà possibile la Cig per imprese destinate a interrompere le attività.
Proprio quest’ultimo punto assume significato solo se il sistema di servizi al lavoro è in grado di subentrare attraverso sostegno al reddito e politiche di ricollocazione. In caso contrario il decreto assomiglierebbe alle famose grida manzoniane e non avrebbe l’efficacia richiesta.
Il decreto interviene su molti altri temi: limiti ai co.co.co. e conciliazione famiglia-lavoro. Non introduce invece il salario minimo rinviando ciò a un intervento più generale sul sistema delle garanzie sociali e auguriamoci anche in vista di una capacità delle forze sindacali di passare dalla protesta alla proposta.