Confindustria e Cgil, Cisl e Uil si sono recentemente aggiornate circa le questioni aperte della contrattazione e della rappresentanza. Soprattutto quest’ultimo tema, legato ai criteri di rappresentatività, è questione di fondo su cui – a parere di chi scrive – deve intervenire il legislatore per sanare una ferita apertasi in particolare dal luglio 2013, dopo la sentenza della Consulta sul caso Fiat. Da quel momento – come abbiamo più volte scritto – sono germogliate rappresentanze e contratti come se piovesse. Chiaro che questo mina l’universalità delle norme figlie della contrattazione collettiva delle organizzazioni più rappresentative e presta il fianco a un gioco al ribasso circa i parametri retributivi.
Nonostante questi problemi e il perdurare da anni della mancanza di un modello contrattuale, in Italia i sindacati e le associazioni datoriali sono ancora relativamente forti: se infatti si va a vedere qual è la situazione nella maggior parte degli altri paesi, secondo l’Ocse la quota di lavoratori coperti da contratti collettivi nel nostro Paese è tra le più elevate. L’ultima edizione dell'”Employment Outlook” fornisce infatti un quadro completo circa il funzionamento della contrattazione collettiva nei paesi dell’area Ocse. L’Italia presenta una situazione in cui – come accennato – sindacati e rappresentanze datoriali sono ancora relativamente forti e il numero di lavoratori formalmente coperti molto elevato.
Negli ultimi trenta anni, infatti, la quota di lavoratori iscritti al sindacato è in media diminuita di un terzo nei paesi Ocse (dal 30% nel 1985 al 17% nel 2013); in Italia, invece, è scesa solo di pochi punti percentuali, dal 42% al 37%. Va detto che l’Inps, nella sua ultima relazione annuale – secondo i dati per le grandi imprese – afferma che i tassi di sindacalizzazione in Italia potrebbero essere più bassi, attorno al 25%. Siamo comunque sopra la media.
Questo ci dice fondamentalmente due cose: in primo luogo, la crisi della rappresentanza è un fenomeno che ha colpito tutte le economie avanzate, non è soltanto un problema italiano; in secundis, in Italia esiste una cultura sindacale importante. Gli errori del sindacato, come del resto della politica, sono evidenti, in particolare degli ultimi due decenni. Va riconosciuto però anche alle Parti sociali qualche merito in quello che è passato alla storia come il grande miracolo economico: l’Italia, Paese così piccolo e prevalentemente agricolo, nel secondo dopoguerra ha conosciuto uno sviluppo importante, in grado di portarlo tra le potenze industriali del mondo.
Siamo nel mezzo della grande trasformazione, il lavoro e l’industria 4.0 chiedono un protagonismo maggiore alla rappresentanza, anche in termini di contrattazione e, in particolare, di contrattazione di secondo livello. Il welfare aziendale sarà terreno su cui si misurerà facilmente la nostra capacità di cucire soluzioni di valore e di qualità. Anche in questo caso le nostre Parti sociali mostreranno qualcosa in più dei loro “competitors”.
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