Correva l’anno 1982 quando “il maestro” Franco Battiato ci raccontava di un’Irlanda del nord dove, nelle balere estive, coppie di anziani ballavano al ritmo di sette ottavi. In questi giorni, altresì, in un resort alle porte di Belfast, si sono incontrati i leader, più o meno giovani, dei paesi membri del G8. In particolare, David Cameron, il padrone di casa, ha messo al centro dell’incontro alcuni temi chiave per la crescita e la prosperità dell’economia globale: lo sviluppo del commercio tra le nazioni, l’allineamento dei diversi regimi fiscali e la trasparenza della transazioni tra i diversi paesi. In questo contesto, a margine della conferenza, Unione europea e Stati Uniti hanno annunciato l’inizio, a breve, dei negoziati per la costruzione di un’area comune di libero scambio tra i due lati dell’Atlantico.
Il nuovo accordo, se sarà raggiunto nell’ipotesi più avanzata, consentirà la creazione di un mercato unico che coinvolgerà un miliardo di persone, includendo Stati che pesano per circa il 50% del Prodotto interno lordo mondiale e per quasi un terzo del commercio globale. L’abolizione di tariffe e dazi, oltre all’armonizzazione delle regole fra le due sponde dell’Atlantico, dovrebbe, infatti, indurre una crescita economica di oltre 200 miliardi di euro del Prodotto interno lordo europeo e di quello statunitense, portando alla creazione di due nuovi milioni di posti di lavoro. Nuove opportunità di lavoro, come hanno condiviso Enrico Letta e Barack Obama, che dovranno, in particolare, intercettare le giovani generazioni.
Da questa riflessione emerge, ahimè, come il dramma della disoccupazione e inoccupazione giovanile (a partire dai cosiddetti “Neet”) sia tutt’altro che un problema solamente domestico del nostro Paese, ma abbia, evidentemente, una sua dimensione globale. Anche in questo caso, come sembra affiorare con chiarezza a Lough Erne, l’Italia e l’Europa, ma anche gli Stati Uniti, potranno uscire definitivamente dalla crisi che li sta attanagliando dal 2008 solo “lanciando il cuore oltre l’ostacolo” e scommettendo sulla crescita e lo sviluppo, ipotizzando soluzioni fino a pochi anni fa neanche immaginabili.
In questa sfida, nella quale ogni attore politico, economico e sociale è chiamato a fare la sua parte, si gioca una buona fetta del futuro del nostro Paese e il destino di (almeno) un paio di generazioni. Tutto questo, tuttavia, passa, necessariamente, da un maggiore e incisivo ruolo dell’Italia in Europa. Solo, infatti, nella dimensione dell’Unione europea, e forse in quella transatlantica come per certi aspetti sembra confermare l’apertura verso un’area di libero scambio, si può pensare di trovare credibili risposte alla necessità di sviluppo e lavoro per il nostro Paese.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com