L’Istat, con riferimento ai dati del primo trimestre del 2011, fa sapere che in Italia ci sono almeno un milione e mezzo di “scoraggiati”, ovvero coloro che ormai non cercano più lavoro perché già sicuri di non trovarlo. Dalle cifre emerge che si tratta principalmente di donne, in particolare quelle del Mezzogiorno, che rappresentano il 45% circa del totale, cioè 698 mila unità. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a questi dati a Emmanuele Massagli, coordinatore della Segreteria Tecnica del Ministero del Lavoro e vicepresidente di Adapt (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazioni Industriali).
«Questo dato va letto nel contesto del mercato del lavoro complessivo, considerando anche la crisi. I giovani sono risultati estremamente sfavoriti dalla crisi, perché l’Italia è strutturata con un sistema di ammortizzatori sociali che difende chi è già nel mondo del lavoro, a discapito dei cosiddetti “outsider”, coloro che provano a entrare, come i giovani. C’è quindi un problema effettivo di disoccupazione giovanile che non è però più grave che in altri Stati europei, anche se deve essere monitorato affinché non diventi cronico. Le donne in realtà sono uscite dalla crisi con tassi di occupazione più alti dei livelli pre-crisi, seppur di poco. Questo perché con la perdita o il rischio di perdita del posto di lavoro dei mariti, molte donne sono entrate nel mondo del lavoro».
E per quanto riguarda il Meridione? «Rimangono in Italia dei divari nettissimi: uno è quello che abbiamo detto tra “insider” e “outsider”, mentre l’altro è quello tra Nord e Sud, che si riflette fortemente sui giovani e sulle donne. Per quanto riguarda queste ultime, il dato va letto in un’ottica culturale, cioè sul fatto che tendenzialmente è vero che al Sud la donna lavora di meno. D’altro canto, però, questo dato andrebbe letto al netto del lavoro nero, che interessa proprio i giovani e le donne, attraverso lavori saltuari, part-time o stagionali che si prestano di più al “nero”». Come interpretare quindi il dato degli “scoraggiati”? «Dati come questo sono sempre difficili da leggere, innanzitutto perché in questo caso si tratta di interviste, in cui sono gli intervistati stessi a definirsi in questo modo, il che rende l’analisi più difficile. È ovvio però che il dato riflette le difficoltà del tessuto produttivo: se le proposte di lavoro sono di meno, è più facile che alla lunga una persona si scoraggi se vuole trovare un determinato posto di lavoro in una precisa zona geografica. In questo senso, si tratta di un fenomeno che mi aspetterei più da una popolazione adulta, che ha ormai una vita “avviata” e meno mobilità geografica. Quando invece questo dato si legge sui giovani, è più preoccupante».
Come mai? «Secondo una ricerca Eurobarometro del 2005/2006, i giovani italiani erano tra quelli in Europa meno disponibili a una mobilità lavorativa, sia nazionale che internazionale. Bisognerebbe quindi capire quanti, dietro agli “scoraggiati”, sono i giovani che effettivamente provano a cercare lavoro tutto il tempo, passando di stage in stage, fenomeno quest’ultimo che va contrastato, e quanti che in questa statistica stanno aspettando il lavoro che vogliono loro. E non bisogna confondere la ricerca di un lavoro che una persona ritiene più adatto al diritto di avere quel posto, e su questo possiamo collegare anche un altro discorso». Quale? «È vero che abbiamo questo dato, ma ne abbiamo anche un altro, comunicato da Confartigianato, dalla stessa Istat e recentemente anche dal primo rapporto Excelsior, cioè che le imprese prevedono come difficilmente reperibili più di 120 mila posti, e di questi l’ampia maggioranza riguarda anche chi ha poca esperienza come i giovani. Questo perché ci sono lavori che nessuno vuole più fare, ed è un dato di cui tener conto. Inoltre, questi sono spesso lavori dove è richiesto al massimo il diploma, quando poi vediamo che la maggior parte di coloro che cercano lavoro hanno una laurea “multidisciplinare”, come in Scienze politiche o della comunicazione».
Certo spesso molti si scoraggiano di fronte a continui cambi di stage, il cui abuso «è stato trattato nella manovra d’urgenza di questi ultimi giorni e, nel pacchetto proposto dal ministro Sacconi, è previsto anche un giro di vite sugli stage. Questa esperienza tornerà a essere uno strumento che si rivolge ai giovani entro sei mesi dal titolo di studio, per fermare il continuo ripetersi di stage nella vita di un ragazzo, che spesso rappresenta solo un opportunismo delle imprese. Ugualmente, ma fuori dal decreto, perché di fatto ha già concluso l’iter, c’è il rilancio dell’apprendistato che viene ripensato proprio per facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Quindi viene di fatto reso operativo su tutto il territorio nazionale senza bisogno di ulteriori normative. Si ratta del contratto migliore per i giovani per entrare nel mondo del lavoro».
Ci sono misure speciali invece per le donne? «C’è una misura che ne incentiva l’assunzione nelle aree del Sud, permesso dalla normativa europea proprio perché sono zone che hanno una forte differenza dai tassi di occupazione europea. Sono previsti contratti di inserimento che si rivolgono esclusivamente alle donne disoccupate da più di sei mesi, tra cui indubbiamente le stesse “scoraggiate”. Si sta quindi cercando di offrire più di una soluzione a quello che il dato Istat di cui stiamo parlando evidenzia».