Come noto il Governo, su proposta del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, ha approvato due giorni fa, in esame definitivo, il decreto legislativo di attuazione della legge sul contrasto della povertà, il riordino delle prestazioni di natura assistenziale e il rafforzamento del sistema degli interventi e dei servizi sociali. In particolare il decreto introduce, a decorrere dal 1° gennaio 2018, il Reddito di inclusione (Rei), quale misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale.
Il Rei (una sorta di reddito di cittadinanza?) è una misura a vocazione universale, condizionata alla prova dei mezzi e all’adesione, da parte del cittadino beneficiario, a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà. Viene riconosciuto ai nuclei familiari che rispondano a determinati requisiti relativi alla situazione economica. In particolare, il nucleo familiare del richiedente dovrà avere un valore dell’Isee, in corso di validità, non superiore a 6.000 euro e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20.000 euro. In prima applicazione sono, quindi, prioritariamente ammessi al Rei i nuclei con figli minorenni o disabili, donne in stato di gravidanza o disoccupati ultracinquantacinquenni.
Nello specifico, fermo restando il possesso dei requisiti economici, il Rei è compatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa. Viceversa, non è compatibile con la contemporanea fruizione, da parte di qualsiasi componente il nucleo familiare, della Naspi o di altro ammortizzatore sociale a tutela della disoccupazione
Nel dettaglio il Rei è articolato in due componenti. Ovviamente un beneficio economico, erogato su dodici mensilità, con un importo che andrà da circa 190 euro mensili per una persona sola, fino a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti. Si prevede, tuttavia, anche una componente di servizi alla persona identificata, in esito a una valutazione del bisogno del nucleo familiare che terrà conto, tra l’altro, della situazione lavorativa e del profilo di occupabilità, dell’educazione, istruzione e formazione, della condizione abitativa e delle reti familiari, di prossimità e sociali della persona e servirà a dar vita a un “progetto personalizzato” volto al superamento della condizione di povertà.
Tale progetto indicherà gli obiettivi generali, e i risultati specifici, da raggiungere nel percorso diretto all’inserimento o reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale, nonché i sostegni, in termini di specifici interventi e servizi, di cui il nucleo familiare necessita, oltre, naturalmente, al mero beneficio economico connesso al Rei.
Ancora una volta, insomma, sembra emergere come fondamentale la capacità di elaborare politiche attive efficaci e personalizzate. Le esperienze di Garanzia Giovani e l’assegno di ricollocazione sembrano essere poco confortanti. Sarà forse la volta buona?