All’inizio della scorsa settimana, su iniziativa di Forma (coordinamento della sede di formazione professionale di ispirazione cattolica) e di Assolombarda, si è tenuto un interessante e importante incontro sulla riforma dell’apprendistato di “primo” e “terzo” livello. Il sottosegretario Luigi Bobba ha introdotto illustrando la proposta del Governo, che dovrà trovare una sua validazione in un biennio di sperimentazione.
Come noto, il contratto di apprendistato che viene attualmente utilizzato è solo quello “professionalizzante” (o di “secondo” livello) escludendo così l’utilizzo di questo contratto per l’inserimento al lavoro delle fasce più giovani e l’utilizzo per percorsi di specializzazione. In particolare, anche dall’Europa sono venute più sollecitazioni ai diversi paesi interessati da una forte dispersione scolastica e dal fenomeno Neet (giovani non occupati, né in cerca di lavoro, né impiegati in percorsi formativi) a valutare l’efficacia del sistema duale applicato nei paesi di tradizione germanica. Qui il forte utilizzo di un percorso di formazione al lavoro molto strutturato e che coinvolge oltre il 40% dei giovani contribuisce a far sì che il tasso di disoccupazione giovanile non si discosti da quello delle altre fasce di età.
Le differenze strutturali del sistema produttivo e le tradizioni scolastiche non permettono di replicare semplicemente il sistema duale tedesco clonandolo, ma la proposta avanzata cerca di riprendere la sostanza adattandola alla realtà italiana. In particolare, si opera finalmente una scelta di fondo: è un contratto di formazione. Si esce così dall’ambiguità e anche dalla continua indecisione fra chi è responsabile del risultato.
L’introduzione di 400 ore di formazione- lavoro per i percorsi tecnici e di 200 ore per chi viene da percorsi liceali indica la volontà di coinvolgere in nuove esperienze di scuola-lavoro tutta la platea giovanile. Vi sono poi scelte che oltre a rendere economicamente vantaggioso per le imprese l’utilizzo di questo contratto (minor costo del lavoro, superamento dell’obbligo di assunzione) cancellano anche vincoli burocratici sui progetti formativi e vincoli regionali che pesavano sulla reale applicazione.
Per il sistema della formazione professionale si apre così, almeno potenzialmente, una nuova stagione di sviluppo. Per quelle realtà che già in questi anni hanno promosso con i corsi triennali esperienze importanti di recupero scolastico di fasce giovanili destinate alla dispersione con ottimi risultati nell’inserimento lavorativo dei giovani, la proposta del Governo apre nuove e importanti prospettive. Rende soprattutto possibile mettere al centro dei programmi il giovane apprendista e rende misurabile e valutabile il raggiungimento dei risultati attesi, siano essi l’assolvimento dell’obbligo scolastico, il raggiungimento di livelli di professionalizzazione o l’ottenimento di specializzazioni post scuola secondaria. Le scuole di formazione professionale sono così il reale tutor del percorso formativo. Scuole superiori e istituti universitari possono avviare percorsi scuola-lavoro che hanno obiettivi chiari da perseguire.
Anche le rappresentanze sociali presenti hanno plaudito alla scelta avviata dal Governo. Assolombarda, partendo da esperienze già avviate, ha posto problemi di costo e di ulteriore semplificazione normativa ma dentro al quadro presentato. Per i sindacati dei lavoratori, Cgil ha parlato contro la proposta in more di un arroccamento a favore della scuola tradizionale mettendosi in una posizione incomprensibile e che non trova nessun riscontro nella realtà. Per la Cisl è invece un nuovo e fecondo terreno di crescita. Ha posto osservazioni ma ha soprattutto indicato le nuove potenzialità che il “sistema duale” offre affinché rappresentanze territoriali sviluppino nuove piattaforme per i giovani e ha dato la propria disponibilità ad assumere sul terreno contrattuale nuove responsabilità perché i contratti operino molte delle semplificazioni solo accennate dallo strumento legislativo.
La doccia gelata sull’efficacia reale del provvedimento arriva però alla fine. In modo incomprensibile rispetto alle esperienze in atto e contro la disponibilità offerta da tutti i soggetti coinvolti, il Ministro Poletti ha posto la centralità degli strumenti pubblici per l’attuazione della sperimentazione. Non è solo la riproposizione di necessità di un coordinamento statale verso le Regioni e le loro esperienze oggi troppo diversificate. Così come per Garanzia Giovani e per il disegno di Agenzia unica per l’occupazione, si è riproposto lo schema di Centri per l’impiego che fanno da unici operatori accreditati. Così non solo si fermano le realtà regionali più sviluppate, ma si ripropone un errore che ha già dimostrato la sua inefficacia nell’esperienza di formazione dei giovani.
Senza favorire una rete virtuosa fra tutti gli operatori pubblici e privati non si ottengono i risultati sperati. Le rappresentanze sociali attraverso la disponibilità a responsabilizzarsi nella contrattazione, centri di formazione pubblici e privati, Cpi e Apl devono essere sostenuti e poter tutti contribuire a far crescere l’apprendistato e il sistema duale. Solo la gamba pubblica centrale porterà al fallimento del progetto. È incomprensibile che un Governo che ha fatto della fiducia nella società la sua proposta di innovazione sociale non sia poi in grado di declinarla proprio nei confronti delle nuove generazioni.