Da tempo si afferma, anche su queste pagine, che le relazioni industriali siano a un punto di svolta. A parte il fatto che, se questa cosa è vera, ciò sta avvenendo in una modalità quantomeno anomala – non sono infatti le Confederazioni a guidare questo processo -, resta il fatto che vale il principio del “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. E il gatto, ancora, nel sacco non è.
Al centro delle trattative del panorama industriale, si trova – come noto – il contratto del settore metalmeccanico. Al di là di un possibile slittamento delle firme, risulta ancora oggi la forte volontà di tutte le Parti di chiudere la vicenda. Un rallentamento c’è effettivamente stato, imputabile secondo chi scrive alla complessità dell’operazione. Nell’ultima settimana si sono tuttavia registrati dei passi avanti piuttosto significativi: in primis, un importante passaggio contrattuale – che la Fim-Cisl definisce storico – sul diritto soggettivo alla formazione che va ad aggiungersi ad altri elementi di innovazione di un accordo che punta molto su welfare contrattuale, previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa.
Questo pacchetto di welfare è ciò che per la Fiom-Cgil, nel corso dei precedenti rinnovi, costituiva la pietra dello scandalo, ma che oggi a questo punto lo è molto meno. Intanto perché Federmeccanica ha offerto molto su questo versante, secondariamente perché è chiaro anche a Maurizio Landini che oggi l’impresa non è più la “vacca da mungere”, espressione cara ad alcuni sindacalisti di ieri.
Il welfare contrattuale è qualcosa che, per cultura sindacale, è sicuramente più vicino alla Cisl che alla Cgil. Succede infatti che Emilio Miceli, al momento Segretario Generale dei chimici della Cgil, critichi proprio quanto si sta definendo col contratto meccanico e ammonisca circa il pericolo di sostituire i contenuti economici, e quindi il salario – in particolare quello di produttività – col welfare. Da una parte, questo è ciò che gli rimproverava Landini quando anni fa Miceli firmava le prime grosse innovazioni in questo senso, avvenute proprio nel settore chimico; dall’altra, va ricordato che Miceli – insieme a Landini – è uno dei candidati alla Segreteria Generale e che, quindi, oltre a rivalersi sul collega “pentito”, ha anche la necessità di mandare qualche segnale al suo mondo.
Si è fatta sentire anche Susanna Camusso di recente: la Segretaria Generale della Cgil ha rispolverato l’argomento dell’intangibilità del contratto nazionale che, a dire il vero, non pare in discussione. Il problema di fondo è che Federmeccanica non è disposta, come più volte detto, a coprire per intero l’inflazione, cosa che preoccupa tutte le sigle dei metalmeccanici. Il punto è, però, che il settore metalmeccanico è tra i più colpiti dalla crisi di questi anni, è che quindi non sia semplice trovare una soluzione al di là dell’inflazione a consuntivo, cioè pagata ex post. Federmeccanica ha proposto il più volte citato “decalage”, ovvero un meccanismo di calcolo dell’inflazione a scalare (100% nel 2017, 75% nel 2018 e 50% nel 2019); possibile che l’intesa si trovi sulla base di un meccanismo a salire (tipo 50% nel 2017, 75% nel 2018 e 100% nel 2019), considerato che oggi l’inflazione è bassa ed è realistico pensare che tenderà a crescere.
È evidente, in sintesi, che per l’importanza del contratto in questione dalla Cgil stiano cercando di contenere le soluzioni che riguardano appunto il welfare e il rapporto tra i due livelli contrattuali, anche in un’ottica di negoziato che poi si sposterà sul fronte interconfederale e che inevitabilmente recepirà quanto sarà condiviso e firmato dai meccanici.
Tuttavia, gli aspetti contrattuali legati al welfare e il rinvio al secondo livello sono capisaldi della cultura cislina. Strano che da via Po nessuno replichi alla Cgil.
Twitter @sabella_thinkin