Le retribuzioni sono di nuovo ferme. Gli ultimi dati dell’Istat hanno registrato, ad agosto, un incremento rispetto a luglio pari a zero. «Si tratta di dati legati ai nuovi rinnovi contrattuali. Una della caratteristiche che la dinamica della crisi ha assunto è quella di provocare l’incapacità dei lavoratori e delle parti sociali di negoziare aumenti salariali», spiega Luca Solari, docente di organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano che, raggiunto da ilSussidiario.net, non nasconde la sua preoccupazione. E’ il secondo mese di fila, infatti, che gli stipendi restano fermi. Sono ben 31 i contratti che attendono di essere rinnovati. Una volta che lo saranno, tuttavia, non è detto che le retribuzioni orarie saranno aggiornate.
«Il che, contestualmente all’incremento dell’inflazione del 2,8%, prelude ad un futuro di lacrime e sangue», afferma Solari, spiegando che i fattori negativi in campo sono veramente troppi: «la sostenibilità dei risultati delle imprese spinge verso una riduzione dei costi, le parti sociali sono indebolite dal contesto economico e sociale, la dinamica contrattuale viene scaricata sui lavoratori e sulle famiglie e, in seguito all’aumento dell’Iva, molti commercianti hanno esposto dei cartelli in cui spiegano che hanno dovuto adeguare i prezzi».
Tanto basta perché la situazione, da qui a breve, peggiori: «tutto ciò porterà ad un ulteriore incremento del tasso di inflazione; si comprimerà ancora il potere d’acquisto delle famiglie e la loro ricchezza netta». Per Solari resta da capire, data la situazione, fino che punto il sistema può tenere. Molte famiglie, infatti, sono ormai arrivate al punto di dover metter mano ai conti in banca. «Secondo alcune ricerche, alcuni nuclei familiari stanno utilizzando i propri risparmi anche per i consumi di base. In certi casi l’erosione è indiretta. Si accumula, cioè, meno di prima. Significa che non si riesce a mantenere il tasso di risparmio precedente».
D’altro canto, l’esecutivo sembra, paradossalmente, deciso a infierire. «I tagli agli enti locali comporteranno meno servizi e a costi superiori. Dire che la politica del governo è miope è un eufemismo». Il Paese, in questo modo, è quindi esposto a gravi pericoli: «Da un lato, c’è la diffusa percezione del fatto che chi guida non ha la più pallida idea di come uscire dalla crisi; dall’altro, si intravedono, da tempo, i sintomi dell’antipolitica. Se si innesta una percezione di perdita significativa di ricchezza individuale e di capacità di gestire i propri consumi il rischio è che si verifichino disordini sociali; tanto più se si arriverà ad un’ulteriore correzione dei conti pubblici che potrebbe essere attuata mediante misure draconiane come la riduzione delle retribuzioni del pubblico impiego. A quel punto, il patto sociale si sfalda».
Solari illustra meglio cosa intende: «Siamo un Paese che si è, da sempre, basato sulla capacità di crescita della spesa pubblica per compensare gli squilibri strutturali decennali; quelli tra nord e sud, tra lavoratori e pensionati, possessori di ricchezza patrimoniale e redditi dipendenti, lavoratori tassati alla fonte e chi può decidere quanto dichiarare. Si tratta di scompensazioni presenti in tutta la storia dell’Italia del Dopoguerra. Di fatto, non sono esplose perché c’è stata una crescita economica sufficiente per non fare percepire a certe categorie, in maniera drammatica, il divario e si sono attuate politiche fiscali e di investimenti massicci nel welfare pubblico». Sembra esserci una sola via d’uscita: «La situazione – conclude Solari – si è rivelata così grave solamente ai tempi del terrorismo. L’unica via di uscita è un governo tecnico o di grande coalizione. Andare a elezioni, con questi schieramenti e questa legge elettorale rischia di far sì che, all’interno della nuova maggioranza, continui a non esserci il tasso di coerenza necessario per affrontare l’emergenza».
(Paolo Nessi)