Si ritira dal calcio. Storie come la sua ce ne sono tante: di riserve senza troppo futuro sportivo che improvvisamente si ritrovano protagoniste; se ne sono scritte a bizzeffe, ma oggi è il suo turno. Perchè Doni ha detto stop, costretto dai medici a un ritiro anticipato a causa di un’aritmia cardiaca. Che gli era stata diagnosticata ai tempi del Liverpool, quando il suo cuore si era fermato per 25 secondi. Rientrato in Brasile, per giocare con il Botafogo Ribeirao Preto (che non è quello in cui gioca Clarence Seedorf), ha aspettato fino a oggi che gli fosse dato l’ok per tornare in campo. E invece, quell’ok non è arrivato. La parabola di Doni è tutta in ascesa: arrivò alla Roma dalla Juventude, dopo aver giocato anche due stagioni con il Corinthians da protagonista. Aveva 25 anni e la grande occasione della vita davanti a sè: tanto che fu lui stesso a pagare la clausola rescissoria (18.000 euro) che consentì il suo trasferimento. Avrebbe dovuto essere il secondo di Gianluca Curci, portiere del vivaio su cui la Roma aveva grandi aspettative; se non che il numero uno non girava, e Luciano Spalletti gli affidò i pali della squadra. Come andò a finire? Come tutti sappiamo, e nel migliore dei modi per lui: Doni fu immediatamente una garanzia, nessuno riuscì più a scalzarlo dalla porta. Mise insieme grandi prestazioni, fu protagonista della vittoria di due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana, e dell’epopea della Roma di Spalletti che in quegli giocava un calcio tra i più belli d’Europa, fece grandi cose in Champions League e per almeno quattro anni contese gli scudetti all’Inter, non vincendone un paio solo per dettagli. Il suo rendimento era talmente elevato che addirittura soffiò il posto in Nazionale a un certo Julio Cesar; ma purtroppo i legamenti crociati del ginocchio destro non tenevano, e fu costretto a saltare la Confederations Cup del 2009. Lo stesso motivo per cui con la Roma perse il posto a vantaggio di Julio Sergio: riuscì a rientrare nel dicembre del 2010, quando anche Bogdan Lobont era indisponibile, e con l’avvento di Vincenzo Montella in panchina ritrovò la porta. Ma non per molto: a luglio, i giallorossi decisero di puntare su Stekelenburg. Doni andò al Liverpool a parametro zero, a fare la riserva di Pepe Reina: con la Roma aveva giocato 199 partite ufficiali. Una beffa: l’addio a un passo dalle 200. Ad Anfield Road due stagioni, con appena 4 presenze in campionato il primo anno: poi il rientro in patria, la speranza delusa, il ritiro a quasi 34 anni. “Mi spiace soprattutto per mio figlio Nhicolas”, ha detto. “Avrebbe voluto rivedermi in campo e io avrei voluto giocare ancora un po’ per lui, ma non sarà possibile. Ho nostalgia, ma Dio non vuole che giochi più. Sono già morto una volta, adesso farò l’impresario”. Lo farà davvero: organizza uno show tridimensionale sulla preistoria. “La Roma? Un’esperienza che non dimenticherò mai”. E i giallorossi hanno risposto subito con un tweet sull’account ufficiale: “In bocca al lupo Alexander Doni: che la passione con cui hai vestito i nostri colori ti accompagni nelle prossime sfide”. Già, in bocca al lupo Alexander.