Già, l’empasse della crisi: la crescita si fa con la spesa, la spesa con il denaro, il denaro con il lavoro; quel lavoro remunerato poco, genitore del difetto di domanda che fa dell’offerta un eccesso, che affossa il prodotto, che affossa la produttività. Sì, perché nella miope gestione di attempati fattori della produzione, il capitale taglia il lavoro. Al grido di “automazione” viene ridotto quel lavoro; le variegate forme della flessibilità ne riducono il costo, con la deflazione salariale pure il valore del remunero.
Già, ci sono parole magiche – nella fattispecie competitività, produttività, concorrenza – che hanno il loro centro di gravità nel contenimento dei costi d’impresa. In cima stanno quelli del lavoro, toccati fanno salire la disoccupazione, scendere salari e stipendi. Toh, proprio quel che serve per fare quella spesa, buona per la crescita. Eppur si deve, se s’ha da vincere la battaglia della globalizzazione, quella che consente di vendere in tutto il mondo mentre tutto il mondo vende in casa tua.
Un bel garbuglio, insomma, dal quale tocca uscire per uscire dalla crisi, evitando, magari, le ineffettuali scorciatoie fin qui adottate. Mettiamo in crisi l’empasse, prendiamo per il bavero i fatti: cosa accade, per esempio, a quella “generazione senza lavoro” che papa Francesco grida? Già, quei giovani sottratti all’esercizio produttivo per aumentare quella produttività che migliora i volumi prodotti; quella generazione che, mancando pure di remunero per acquistare quel prodotto, ne svaluta il valore. Giust’appunto, mancando di spendere, la loro domanda si fa scarsa, l’offerta al contrario sovrabbondante!
E proprio qui si mostra quel che non t’aspetti: vi è più valore nell’esercizio del consumare che in quello del produrre. Se tanto mi dà tanto, tocca allora remunerare l’esercizio della spesa. Per un mercato efficiente fare il prezzo di quel valore, che consuma il prodotto e fa riprodurre, è cosa buona e giusta: un modo per compensare quel tributo pagato, all’aumento della produttività di processo e alla competitività di prodotto, che spossa proprio il potere d’acquisto. Pagare, investendo il profitto per ridurre i prezzi, non grava sulla struttura dei costi mentre aggiunge ulteriore capacità concorrente ai prodotti. Chi lavora avrà convenienza a fare più e meglio nel produrre e avere così da acquistare, quindi spendere e guadagnare.
Remunerare l’esercizio del consumo migliora la produttività totale dei fattori e la capacità di fare utili per le imprese; matura pure la convenienza a poter stornare quote di profitto da investire per compensare chi, con lo spendere, fa guadagnare. Viene così sottratto rischio all’impresa: toh, proprio quello che il profitto remunera.