La gentilezza, l’affabilità, la fiducia e l’apertura verso gli altri nelle relazioni interpersonali eleva la qualità del clima negli ambienti professionali e l’efficacia della prestazione nei contesti organizzativi con conseguenze molto concrete sulla produttività. La rivista internazionale Psychologies Magazine, ispirata dal World Kindness Day, ha lanciato in Francia lo scorso anno per la prima volta “la giornata mondiale della gentilezza” riscuotendo un grande successo e quest’anno le 12 edizioni del network di Psychologies Magazine hanno invitato ciascuno ad agire concretamente per elevare la qualità delle relazioni e della vita in azienda.
Aristotele, nei capitoli 12-15 del IV libro dell’Etica Nicomachea, esamina le disposizioni che riguardano le relazioni sociali e la prima delle virtù sociali a essere presentata riguarda proprio l’affabilità nei modi, la gentilezza, il garbo da utilizzare nelle relazioni: “Nelle relazioni sociali, vale a dire nel vivere in intimità e nell’intrattenere rapporti di parole e di fatti, gli uni passano per essere compiacenti: si tratta di coloro che approvano ogni cosa per procurare piacere e non si contrappongono in niente, ma pensano di non dover procurare dolore a quelli con i quali si incontrano. Invece, coloro che, al contrario di questi, si oppongono in ogni cosa e non hanno nessuna preoccupazione di procurare dolore, sono chiamati fastidiosi e litigiosi” (Etica, IV, 12, 1126b).
Chi pecca per eccesso in quest’ambito è dunque il compiacente, cioè colui che approva ogni cosa con l’unica preoccupazione di risultare piacevole, oppure l’adulatore, che invece lo fa per conseguire vantaggi personali. Pecca invece per difetto il fastidioso o litigioso, che ha sempre da obiettare e non si preoccupa di provocare dolore.
Aristotele afferma che questa virtù assomiglia all’amicizia, pur differenziandosene per il fatto di non comportare sentimenti d’affetto nei confronti di coloro verso i quali si tratta. “Infatti, si avrà lo stesso comportamento sia verso gli sconosciuti che verso coloro che si conoscono, sia verso i familiari che verso gli estranei, tranne che come è adatto in ciascuna di queste relazioni. Ché non sarà conveniente avere ugual cura per i familiari e per gli estranei, né metterli sullo stesso piano quando si tratta di causare loro un dolore” (Etica, IV, 12, 1126b).
In altre parole, Aristotele afferma che di principio dobbiamo sforzarci di essere cordiali, di far piacere e di evitare di causare dolore nelle relazioni correnti con gli altri, ma che nel contempo conviene pensare alle conseguenze di questa affabilità. Si deve infatti rifiutare di mostrarsi troppo cordiali quando un assenso dato alla leggera potrebbe compromettere la reputazione o l’interesse nostro o delle persone alle quali diamo l’approvazione; si deve quindi dare priorità a considerazioni relative all’onore e all’utilità. “Inoltre, [il virtuoso] intratterrà relazioni differenti con le persone di rango elevato e con i primi che capitano, con chi conosce di più e con chi conosce di meno, e parimenti rispetterà anche le altre differenze, conferendo a ciascuna categoria di persone ciò che e conveniente, di per sé scegliendo di procurare piacere ed evitando di causare dolore, badando alle conseguenze […], intendo dire alla bellezza morale e all’utile. E in vista di un grande piacere nel futuro, causerà piccoli dolori” (Etica, IV, 12, 1127).
Aristotele ribadisce che chi possiede questa virtù non viene chiamato in alcun modo particolare; il virtuoso “affabile” è colui che si colloca nel giusto mezzo tra l’eccesso di chi è troppo compiacente o adulatore, e chi è invece litigioso o fastidioso.
Nel celebre test Big Five, che misura i cinque fattori determinanti la qualità delle performances manageriali, vi troviamo l’affabilità, insieme a nevroticismo, estroversione, apertura e coscienziosità. Il test valuta l’affabilità come – giustamente – “la qualità degli orientamenti interpersonali in una serie ininterrotta di pensieri, sentimenti e azioni che vanno dalla compassione all’antagonismo”.
In un contesto dinamico e mutevole caratterizzato dalla knowledge driven economy e da un tasso di crescente di innovazione (di processo, di prodotto, strategica e organizzativa) è solo con il consenso, la passione e l’entusiasmo delle persone che si possono portare al successo le imprese. Come potrebbe mai essere possibile fare questo senza la fiducia che si può ingenerare solo mediante comportamenti responsabili: lungimiranti, trasparenti, perseveranti, equilibrati, affabili.., tali da abbracciare in un “noi” profondamente sentito, un’esperienza di costruzione di identità (proprie e altrui, singole e collettive) realmente soddisfacente per tutti?
È chiaro che emerge una figura del leader flessibile, capace di favorire conversazioni tra alterità, gestire complessità inclusive di conflitti, affrontare e risolvere complessi e critici trade off organizzativi, come per esempio tra disciplina, logica e creatività, efficacia e attenzione agli altri, profitto e responsabilità sociale, efficienza e ricerca di nuove soluzioni.