Nella convinzione di “bastare a se stesso”, Matteo Renzi aveva completamente ignorato numerosi interlocutori, nel suo programma di governo, tra cui il Sud: e non aveva inserito un ministero per il Mezzogiorno nel suo esecutivo. Lo “storytelling” positivista dell’Italia che cambia verso e risorge dal piagnonismo era un “format” decisamente antagonista rispetto all’innegabile piagnonismo del Sud e dei politici meridionali. Nella prima legge di Bilancio tutta sua, quella per il 2015, tra manovra economica e decreto Sblocca Italia, l’81% dei finanziamenti era andato al Centro Nord. La relazione con i governatori delle grandi regioni meridionali era pessima: rapporti tesi con Crocetta in Sicilia, difficili con Caldoro in Campania, assai dialettici con l’asse ideale Vendola-Emiliano in Puglia.
Poi, col focalizzarsi di tutta l’azione politica del premier – ovvero, di tutta l’azione politica del Paese, per l’assordante silenzio di qualunque altra voce intellegibile – sul referendum costituzionale, qualcosa o qualcuno gli ha fatto capire che doveva far di tutto per recuperare consensi al Sud: i sondaggi sul forte vantaggio del no in quelle Regioni. E Renzi ha cambiato strategia, mettendo in atto una comunicazione martellante basata su promesse e impegni per il Sud di segno completamente nuovo rispetto alla trascuratezza originaria.
Il primo segnale è stato quello del luglio scorso sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, eterna incompiuta, con la promessa di completarne la costruzione entro l’anno lanciata all’inaugurazione di una breve nuova tratta. Poi la ripresa del progetto chimerico del Ponte sullo Stretto, preso come simbolo della determinazione positiva del giovane leader contrapposta allo sfascismo nichilista dei gufi che dicono sempre no per non dare spazio alle mafie nei lavori pubblici. Ma i sondaggi non cambiavano segno. E allora Renzi ha messo il turbo. Con la decisione di stanziare 750 milioni per mantenere gli incentivi pieni per le imprese che assumono nel 2017 ma solo al Sud. E con la benevola attenzione prestata alla proposta del suo – a volte imbarazzante – supporter Vincenzo De Luca, governatore della Campania: assumere 200 mila statali subito nelle regioni del Sud per rilanciare l’occupazione.
Al di là delle ovvie ironie su come tutto questo promessismo sembri preso pari-pari dai film di Cetto Laqualunque – il web è pieno di parodie e accostamenti tra frasi vere di Renzi e frasi dei copioni di Cetto – il dramma per Renzi è che non è detto che bastino a bilanciare la profonda, metabolica, diffidenza dell’opinione pubblica meridionale verso qualunque richiesta pressante di qualunque politico per quanto presentata come indispensabile nell’interesse di tutti. Il riflesso mentale condizionato di fronte a un politico che dice – a noi meridionali – “è indispensabile che tu faccia come ti dico io, per il bene di tutti”, è solo e sempre uno: dov’è la fregatura?
Inorridiscano pure i sociologi radical-chic, si indignino i legittimisti, ma secoli di rapporto da sudditi e non da cittadini con regimi quasi sempre stranieri od ostili non passano senza lasciare traccia, e queste tracce non si cancellano con qualche spot. Se è vero che in democrazia il voto è sempre “di scambio”, perché l’elettore concede la sua fiducia in cambio, appunto, di promesse allettanti per i suoi interessi, al Sud non ci si fida più neanche delle promesse perché troppe volte, e certo da assai prima che Renzi nascesse, sono state tradite. Il capillare e tentacolare potere mafioso che amministra nella sostanza grandi aree di quelle regioni si basa sulle promesse mantenute, non su quelle fatte e tradite. Ecco perché a oggi il vantaggio del “no” al Sud non sembra diminuire.
Mobilitato anche lui – come tutti gli uomini e le donne dell’esecutivo, del resto – nella battaglia referendaria, il povero sottosegretario allo Sviluppo economico Antonello Giacomelli, ieri, si è voluto sperticare nel dire, commentando la defiscalizzazione del lavoro al Sud nel 2017, che non si tratta “di un segnale o di un aiuto momentaneo, ma di mettere in campo strumenti che consentano alle straordinarie potenzialità del Sud di diventare una risposta strutturale”. Excusatio non petita, accusatio manifesta, diceva il diritto romano. “Sul Sud c’è la grande scommessa del Governo – ha rincarato – e il premier in queste ore, continuando con visite tutte rivolte alle realtà del Sud, manifesta l’intenzione del Governo di vincere questa scommessa”: appunto, di vincere il referendum. Ma Giacomelli si è, ahilui, superato elogiando la proposta di De Luca sui 200 mila assunti. E l’ha fatto poco prima che le agenzie rivelassero l’attacco di De Luca alla Bindi (“da ucciderla”) e qualche giornale riportasse il verbale con cui il sanguigno governatore campano, teorico dell’efficientismo governativo, a porte chiuse davanti a 300 amministratori locali suoi sostenitori, li incitava a portare voti al sì, enumerando tutti i vantaggi economici che per questo sostegno il Sud aveva già ottenuto dal governo e gli altri che potrebbe ancora ottenere. Più chiaro di così.