Al momento le rilevanti riforme portate avanti dal Primo Ministro Renzi non hanno inciso in tema di crescita e rilancio dell’occupazione. Il Jobs Act rappresenta forse la riforma più rilevante, ma tratta solo di regolamentazione e strumenti di ricollocazione, ambiti che sono stati già oggetto di modifiche negli ultimi tre anni (dalla Riforma Fornero in poi).
In tema di incentivi fiscali, si spera di vederne gli effetti alla fine di quest’anno in una netta transizione dei lavoratori a termine verso il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Purtroppo tale obiettivo “cozza” con il pacchetto Poletti che riguarda la riforma (o meglio liberalizzazione) dei contratti a tempo determinato (su tale argomento si dovrebbe fare un passo indietro lasciando spazio solo al contratto di somministrazione, dato che prevede un costo maggiore per le imprese). Aldilà del suo impatto, l’incentivo risulta veramente troppo generoso, quelle risorse sarebbe stato meglio investirle in politiche keynesiane, come maggiori investimenti nell’edilizia scolastica (ambito dove si può contemporaneamente creare occupazione e sistemare le migliaia di scuole dissestate del Paese).
Tuttavia, il vero tema del mercato del lavoro è quello del credito, mancano i soldi per rilanciare la domanda, e il problema va risolto senza incorrere nelle sanzioni comunitarie, tema difficile perché nel frattempo si è scoperto che in Italia le start up sono un bel caso giornalistico, ma nella maggioranza dei casi un “inevitabile” fallimento. Il mercato azionario rispetto quello bancario arranca, mentre il crowdfunding è ancora un ambito troppo piccolo per sembrare una valida alternativa.
Discorso a parte è il Sud, che oggi presenta caratteristiche economiche simili a quelle di un Paese in via di sviluppo, il che spiega come mai il fenomeno migratorio verso il Nord Italia o il resto d’Europa non si sia mai fermato. L’asse strategico occupazionale promosso dall’Unione europea è stato un colossale fallimento, soldi non utilizzati oppure in molti casi usati male. Un turismo che certamente fa il “botto” per presenza (in parte frutto della crisi dei paesi arabi), ma sfruttato malissimo, genera lavoro soprattutto a livello costiero con difficoltà enormi di trasformare questo fenomeno in moltiplicatore economico in modo da generare più lavoro, anche nel periodo invernale.
A eccezione di alcuni “castelli” in mezzo al deserto, non si può sperare di rilanciare nel Mezzogiorno un’economia manifatturiera ormai in crisi, perché quando la produzione è “andata “gli asset territoriali sono fortemente compromessi Quindi non si può credere che il rilancio del Sud passi per “sfavillanti” piani nel settore industriale: meglio puntare su agroalimentare, strutture Rsa per la non autosufficienza e, ribadisco, turismo, tanto turismo.
Ammettendo che tale settore non raggiungerà mai percentuali di Pil viste in passato e che dipenderà tantissimo dalla domanda proveniente dall’estero, ci vorrà sempre più personale competente in economia, marketing e in diverse lingue straniere oltre l’inglese. Dunque c’è molto da fare a prescindere dal Jobs Act.