Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha risposto con una e-mail a un cosiddetto “lavoratore precoce” che gli aveva scritto per raccontargli la sua storia. I lavoratori precoci sono quanti hanno iniziato a lavorare tra i 15 e i 18 anni di età, e che quindi con l’innalzamento dell’età pensionabile della Legge Fornero si trovano ad andare in pensione dopo avere versato fino a 50 anni di contributi. Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera dei deputati, ha proposto che questa speciale categoria di persone possa andare in pensione dopo 41 anni di contributi, senza penalizzazioni e a prescindere dall’età. Questa l’e-mail di Matteo Renzi: “Ciao Renato, ti ringrazio per avermi scritto e per avermi raccontato un po’ della tua storia personale. Siamo al lavoro per definire correttivi all’attuale sistema pensionistico. Vogliamo dare maggiore flessibilità in uscita non senza tener conto dell’equilibrio dei conti pubblici. Presto ci saranno novità. Tu continua a seguirci, e non perdere la speranza perché l’Italia è ripartita”. Ne abbiamo parlato con Domenico Proietti, segretario confederale della Uil.
Che cosa ne pensa della “Quota 41” proposta da Damiano?
Io credo che sia una proposta positiva, perché va nella direzione sostenuta dalla Uil secondo cui bisogna reintrodurre un elemento di flessibilità nel nostro sistema di accesso alla pensione. Il problema è che adesso se ne sta discutendo da tanto tempo e sarebbe ora di iniziare a fare qualche innovazione dal punto di vista legislativo. Da parte di governo e parlamento ci aspettiamo un’iniziativa molto precisa in questa direzione.
Come pensate di fare ascoltare le vostre ragioni nei colloqui con il governo?
Noi partiamo da un dato. Nei mesi scorsi il governo ha detto quello che Uil e sindacato hanno ripetuto in questi anni: la legge Fornero ha introdotto un elemento di eccessiva rigidità. Bisogna quindi ritornare a una flessibilità. Noi proponiamo un range tra 62 e 70 anni, dentro ai quali il lavoratore può scegliere come andare in pensione anche in base alle diverse tipologie di lavoro. Questa è la proposta che si sta facendo strada nel dibattito, e adesso bisognerà passare dalle parole ai fatti.
L’obiezione avanzata da parte di diversi ambienti è che la flessibilità comporterebbe costi troppo elevati…
Nella realtà non è così, in primo luogo perché non è detto che tutte le persone che maturano il requisito decidano di andare in pensione: in tanti magari preferiscono rimanere al lavoro. Per gli altri la flessibilità va finanziata prendendo parte delle risorse risparmiate grazie alla legge Fornero, pari a 80 miliardi in dieci anni, e rimettendole nel sistema. Vanno inoltre tagliate spese improduttive e sprechi della politica, che finora non si sono voluti ridurre.
Fino a che punto la soluzione a questi problemi è il ddl Damiano?
La nostra proposta è lasciare ai lavoratori la scelta su quando andare in pensione tra i 62 e i 70 anni. Il tutto senza penalizzazioni ulteriori rispetto a quelle già implicite, perché con il sistema contributivo se si va in pensione prima si sono versati meno contributi e quindi si percepisce un assegno più basso. Quindi non si possono gravare ulteriormente i futuri pensionati con una penalità che sarebbe pari a una mensilità all’anno. Per pensioni che già non sono altissime sarebbe un problema reale. La nostra proposta è quindi quella di reintrodurre la flessibilità, ma senza penalizzazioni aggiuntive.
Per il viceministro Morando però sono percorribili solo ipotesi che non abbiano costi per lo Stato come il prestito ponte. Lei che cosa ne pensa?
Quella del prestito pensionistico è una proposta avanzata già a suo tempo dal ministro Giovannini. Noi pensiamo che non sia la strada giusta, perché stiamo sempre parlando di risorse che sono di lavoratori e pensionati. Con il prestito ponte si disincentiverebbe fortemente il fatto di andare prima in pensione, e quindi non è una risposta al bisogno che noi abbiamo davanti. Se è vero che, come hanno detto Renzi e Poletti, avere elevato l’età pensionabile ha creato un’ingiustizia sociale e un’iniquità, bisogna porre rimedio a questo introducendo una flessibilità che non penalizzi a sua volta il lavoratore, altrimenti non si risolve il problema.
(Pietro Vernizzi)