Le ultime indiscrezioni sulla riforma delle pensioni sono tutt’altro che rassicuranti. E, sommate alle precedenti, rischiano di creare il panico tra i lavoratori anziani. Secondo l’ultima, non basteranno più neanche 40 anni di contributi per andare in pensione. Per quanto bisognerà lavorare allora? Raggiunto da ilSussidiario.net Giuliano Cazzola, Vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera dei deputati, pone una premessa, necessaria a ogni sorta di ragionamento: «Anzitutto – dice -, bisogna ricordare che, al momento, si tratta di ipotesi; che, per quanto realistiche, rimangono tali. Per poter dare un giudizio puntuale e definitivo, occorrerà avere di fronte una proposta di legge».
Nonostante, infatti, molte congetture siano in fase di sempre maggiore definizione e vadano considerate nel novero delle cose reali, in passato la fretta è stata foriera di errori: «Nelle scorse settimane – spiega, infatti, Cazzola – è bastato saccheggiare gli scritti della professoressa Fornero per paventare scenari, in materia previdenziale, di incertezza e flessibilità assoluta. Il che, in seguito, non si è rivelato esatto». Secondo Cazzola, al momento, ciò che è sicuro è che «il governo applicherà il sistema contributivo a tutti i lavoratori, mediante il pro rata, a partire dal 2012. Poi, effettivamente, non è escluso che saranno riviste le pensioni di anzianità, che consentono di andare in pensione con 40 anni di contributi versati a prescindere dall’età anagrafica. Mi sembrano realistiche le indiscrezioni secondo le quali il governo intenda allungare tale requisito».
Questo, tuttavia, non significa che tutti dovranno necessariamente aver maturato per forza 40 anni di contributi. A prescindere dalla propria età. «Si potrà ancora andare in pensione per vecchiaia (attualmente il requisito è di 65 anni, ndr) o per anzianità con le quote, corrispondenti alla somma tra età anagrafica e contributiva (per i lavoratori dipendenti, nel periodo dall’1.1.2011 al 31.12.2012 occorre raggiungere quota 96; a partire dall’ 1.1.2013 quota 97, ndr); l’anzianità contributiva, infine, potrebbe passare dagli attuali 40 anni a 41, 42 o perfino 43».
Messa così, non è una tragedia. «La misura – aggiunge -, benché gli effetti finanziari non sarebbero immediati, è la più utile che si possa realizzare. Basti pensare che i tre quarti degli italiani, ad oggi, vanno in pensione con il metodo dell’anzianità contributiva. Spesso, prima dei 60 anni di età». A fronte di un sacrificio di uno o due anni, si reperirebbero risorse di notevole entità. «Inoltre, ogni pensione rinviata vale, mediamente, 22mila euro l’anno». Non è tutto: «Resta il fatto – conclude Cazzola – che chi va in pensione più tardi, avrà, in o ogni caso, un assegno più pesante».