Con la ripresa delle attività dopo la pausa estiva, sta entrando nel vivo l’attività della struttura di missioneistituita dal Ministro del Lavoro allo scopo di dar vita alla “garanzia giovani”, il programma di politica attiva del lavoro promosso dall’Unione europea, con un budget di spesa di 6 miliardi di euro per il periodo 2014 -2020, a favore dei giovani che fuoriescono da un percorso scolastico, per fare in modo che vengano rapidamente (entro 4 mesi dalla fine degli studi) inseriti in un percorso lavorativo o ulteriormente formativo.
Guardando ai componenti della struttura di missione, notiamo con stupore che essa è composta solo da soggetti pubblici (Ministero del Lavoro, Regioni, Italia Lavoro, Isfol, ecc.): si è così persa l’opportunità di far lavorare insieme a un grande progetto, la lotta alla esorbitante disoccupazione giovanile, il mondo pubblico con il mondo privato delle Agenzie private per il lavoro, beneficiando così della loro esperienza operativa in fatto di avviamento al lavoro dei giovani e della loro conoscenza dei fabbisogni professionali delle imprese loro clienti.
Ora è fondamentale non ripetere la stessa tipologia di errore. Si legge infatti tra le righe che il dibattito sia oscillante tra chi vuole coinvolgere le Agenzie per il lavoro nella messa in atto della garanzia giovani, utilizzando i fondi europei per ricompensare la presa in carico dei giovani da parte delle Apl, remunerandole al conseguimento del risultato previsto dal programma (inserimento lavorativo o in un percorso di formazione strutturato) e chi invece vuole investire le risorse per rimpolpare i centri per l’impiego statali. Come se 15 anni di esistenza delle Agenzie per il lavoro non avessero evidenziato che un servizio pubblico può egregiamente essere svolto da una struttura privata, autorizzata dallo Stato stesso. E senza considerare le competenze specifiche in materia di politiche attive del lavoro, che a partire dal 2009 si sono accumulate nel personale delle Apl, grazie alla partecipazione a bandi e programmi pubblici provinciali e regionali in giro per l’Italia, volti al supporto alla ricollocazione del personale espulso dalle aziende in crisi.
Il sottoutilizzo dei giovani è di una gravità tale da richiedere scelte drastiche e immediate nella realizzazione delle politiche di intervento, con il coinvolgimento di tutte le risorse e le professionalità disponibili, sia pubbliche che private. La distribuzione territoriale con il contatto quotidiano con i candidati e le imprese, abbinato all’investimento in tecnologie e sistemi con la conseguente disponibilità di archivi e dati, porta le Agenzie per il lavoro a poter rendere disponibili segmenti di informazioni (anagrafiche e sulle competenze formali e informali) utili alla programmazione e gestione dei servizi.
I giovani possono accedere ai servizi attraverso la rete di operatori individuata dalle regioni. Le Agenzie prendono in carico le persone, erogano i servizi di orientamento e le supportano nella definizione di un percorso personalizzato, fino all’avviamento lavorativo, o all’autoimpiego, oppure al reinserimento in un percorso di formazione professionale.
Attraverso modalità di riconoscimento di questi servizi fortemente sbilanciato su formule “a risultato”, lo Stato avrebbe dunque contemporaneamente due vantaggi: da un lato, non deve investire in ulteriori costi fissi (uffici pubblici e personale), che aggraverebbero un bilancio pubblico già fortemente disastrato; dall’altro, compensando i servizi erogati al conseguimento di un risultato concreto, può essere sicuro che i fondi europei destinati al recupero dei giovani disoccupati centrino davvero l’obiettivo!