È stato pubblicato ieri un rapporto Istat sullo stato di salute del nostro mercato del lavoro. I dati sono questa volta particolarmente importanti perché la loro lettura può, forse, aiutare a capire se, e come, le dinamiche occupazionali hanno impattato sul voto referendario e in particolare sulle ragioni che hanno portato molti italiani, più significativamente i più giovani e al Sud, a votare No.
Si registra, quindi, che nel terzo trimestre del 2016 l’economia italiana ha visto un aumento congiunturale del Pil dello 0,3%, in linea con quella dell’area dell’euro, e una crescita tendenziale dell’1%. I segnali di accelerazione sono, peraltro, associati a una domanda di nuovo lavoro da parte del sistema produttivo che continua a espandersi, seppur a un ritmo molto, probabilmente ancora troppo, moderato. Le ore complessivamente lavorate, infatti, crescono solo dello 0,1% sul trimestre precedente e dell’1,6% su base annua.
Dopo cinque trimestri consecutivi di crescita, nel terzo trimestre del 2016 l’occupazione complessiva mostra poi un lieve calo rispetto al trimestre precedente (-14 mila unità, -0,1%). Prosegue, così, la tendenza alla crescita dei dipendenti (+66 mila, 0,4%) compensata, però, dal calo dei lavoratori autonomi (-80 mila, -1,5%).
Rimane stabile anche il tasso di occupazione. Le tendenze più recenti mostrano, al netto della stagionalità, un nuovo calo degli occupati concentrato nei dipendenti a tempo indeterminato, a fronte di una modesta crescita dei dipendenti a termine e della stabilità degli indipendenti. Il tasso di disoccupazione rimane, allo stesso tempo, stabile per il quarto trimestre consecutivo, mentre aumenta di 0,4 punti rispetto allo stesso trimestre del 2015, con una crescita tendenziale di 132 mila disoccupati.
Per il terzo trimestre consecutivo diminuisce, in modo più consistente, il numero degli inattivi, ossia le persone che non hanno un lavoro ma che neanche lo cercano, tra i 15 e i 64 anni (-528 mila in un anno) e il corrispondente tasso di inattività. Nel confronto tendenziale, la diminuzione dell’inattività è diffusa per genere, territorio, classe di età. Si registra poi una lieve riduzione delle ore lavorate per dipendente (-0,3%) e una costante riduzione del ricorso alla Cassa integrazione.
Nel complesso sembra, insomma, che l’economia, quindi, il lavoro, sia ripartito, ma, probabilmente, non alla velocità che gli italiani si aspettavano o che lo storytelling renziano aveva fatto immaginare. L’Italia non ha, ancora, cambiato verso o, perlomeno, la svolta non è ancora stata percepita come tale da molti cittadini che, probabilmente, anche per questo hanno solo pochi giorni fa bocciato l’operato del Governo Renzi e della maggioranza che lo ha sostenuto.