Può sembrare strano e paradossale, ma in un periodo di crisi come questo, dove sono molti gli italiani in cerca di occupazione, le inserzioni sui quotidiani o sui siti specializzati rappresentano soltanto il 15% dei posti di lavoro realmente disponibili. Fondamentale, quindi, riuscire a “scoprire” il restante 85% per aiutare chi il lavoro lo cerca e, soprattutto, chi lo ha appena perso o lo sta per perdere. Questo è quello che, tra le altre cose, fa Intoo, dal 1° dicembre scorso nuova denominazione di DBM Italia, società leader di mercato nell’outplacement. Per saperne qualcosa di più abbiamo raggiunto Cetti Galante, Direttore generale di Intoo.
Ci può spiegare innanzitutto cos’è l’outplacement?
L’outplacement è il supporto alla ricollocazione professionale. È un servizio ancora sottoutilizzato in Italia. Basti pensare che secondo i dati Aiso (Associazione italiana società di outplacement) negli ultimi tre anni sono state supportate circa 23.000 persone. Se pensiamo che nello stesso periodo le persone che hanno perso il lavoro sono state 250.000 si capisce quanto poco sia utilizzato questo strumento, che può invece fare la differenza.
In che modo?
Partiamo dalla considerazione che è molto difficile per il singolo presentarsi su un mercato come quello attuale. Noi possiamo fornirgli supporto innanzitutto aiutandolo ad analizzare i suoi punti di forza e i risultati raggiunti durante la sua carriera, valorizzandoli e costruendo una proposizione di se stesso molto più efficace. Si mappano le skills della persona e si valuta la spendibilità allargata, includendo sia il settore di provenienza, sia tutti quelli per i quali la persona ha le giuste caratteristiche. Per ogni progetto professionale si prepara un cv diverso e si stabilisce un percorso diverso. Si fa un autentico piano di marketing di se stessi, comprensivo di simulazioni di colloquio. Con l’aiuto di professionisti, la persona può quindi presentarsi al meglio sul mercato. C’è poi un altro enorme vantaggio su cui Intoo lavora tantissimo con decine di consulenti junior dedicati solo a questo: fare emergere le “posizioni nascoste”.
Di che cosa si tratta?
In Italia, l’85% dei posti di lavoro vacanti non compare su nessuna inserzione. È un dato Unioncamere confermato anche dalle nostre evidenze. Qualsiasi persona che cerca lavoro da sola vede quindi solo il 15% delle posizioni disponibili. Il nostro compito è far emergere il restante 85%. Lo facciamo attraverso le nostre 16 sedi sparse in Italia, il network dei nostri 80 consulenti e il contatto diretto con le aziende sul territorio. È un lavoro capillare sul territorio o per Industry. Quando, per esempio, chiude uno stabilimento o c’è una fuoriuscita collettiva da un’azienda, noi a compasso tracciamo un raggio di 20-25 km (che in genere è la distanza nella quale la persona è disposta a spostarsi) e contattiamo a tappeto tutte le imprese lì presenti per sapere quali posizioni stanno cercando e hanno necessità di coprire. Per i candidati individuali invece abbiamo consulenti specializzati per Industry che, grazie alla profonda conoscenza dei ruoli e del mercato di riferimento, sono in grado di mappare tutte le aziende in target e farle raggiungere con una proposizione mirata dal candidato.
Quali sono i risultati di questa attività? Qual è la percentuale di effettivo ricollocamento e in quali tempi avviene mediamente?
La percentuale di ricollocamento per i candidati individuali è circa al 90%, mentre per i collettivi tra il 65% e l’85%. I tempi, in entrambi i casi, si aggirano intorno ai sei mesi. Nonostante questi numeri, però, lo strumento dell’outplacement, come dicevo prima, resta sotto-utilizzato. Questo dipende da una insufficiente conoscenza dello strumento e del suo corretto utilizzo, sia livello di direzione risorse umane nelle aziende, specialmente quelle medie e piccole, che di sindacato territoriale che a livello delle stesse persone coinvolte.
All’estero è invece uno strumento usato?
In alcuni paesi, per esempio Francia e Belgio, è obbligatorio per le grandi imprese. In altri, come Regno Unito, Germania e paesi nordici, è più conosciuto e maggiormente utilizzato, anche se in una forma diversa rispetto all’Italia. Ne nostro Paese, purtroppo, prevale troppo spesso anche una logica di monetizzazione, per cui le persone preferiscono avere più soldi subito attraverso gli “scivoli” per poi affrontare da soli la ricerca di un nuovo posto di lavoro. Ma si tratta di una logica miope, perché affrontare il mercato del lavoro da soli nel contesto di oggi non è facile.
Il mercato del lavoro dovrebbe però essere oggetto di riforma da parte del nuovo Governo e lo strumento dell’outplacement potrebbe trovare più spazio.
Crediamo, come ha anche spiegato Stefano Colli Lanzi, Amministratore delegato di Gi Group, a cui Intoo appartiene, che il mercato del lavoro italiano, per essere più competitivo, deve diventare più flessibile, sia in entrata che in uscita. Questa flessibilità deve però essere accompagnata da una maggior tutela della persona (da cui il concetto di flexicurity). Questa maggior tutela si esprime anche con lo strumento dell’outplacement, che dovrebbe essere sempre affiancato agli altri di politica attiva, come la cassa integrazione, la mobilità e l’indennità di disoccupazione, con la differenza che non si tratta di pura assistenza, ma di ricostruzione per il futuro.