Nello psicodramma di fine anno (o nella lieta circostanza a seconda di come uno vede gli scenari aperti dal “nuovo” Governo) è stata velocemente approvata la Legge di bilancio 2017, senza apportare sostanziali modifiche all’impianto del disegno presentato in Parlamento lo scorso 29 ottobre. Alcune misure adottate sono significative; mi riferisco in particolare alle disposizioni in materia di welfare aziendale, contenute nella legge. Come già osservato in altre occasioni, si tratta, a mio avviso, di una componente remunerativa destinata a incrementarsi e a diversificare la retribuzione, non più orientata, come in passato, a consolidare aumenti e avanzamenti di carriera, del resto sempre più rari. Specialmente con le ultime leggi di stabilità (2014-2016), gli elementi retributivi legati alla redditività di esercizio dell’impresa, negoziati dalle parti a livello aziendale, vengono sensibilmente detassati.
Rispetto a quanto già previsto dalla Legge di stabilità 2016, passa da 2.000 a 3.000 euro l’ammontare dei premi di produttività che vengono tassati separatamente (imposta sostitutiva) con aliquota di favore nella misura del 10% e viene innalzato da 50.000 a 80.000 euro il limite di reddito di lavoro dipendente individuato quale parametro di riferimento per il riconoscimento del beneficio, ampliando così notevolmente la platea dei destinatari: in linea generale, infatti, le agevolazioni fiscali connesse alla produttività aziendale non dovrebbero incontrare limiti reddituali, per incentivare tutte le categorie dei lavoratori che, a vario titolo, hanno contribuito a generare utile per l’impresa. Per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro, l’importo complessivo dei premi agevolabili viene elevato da 2.500 a 4.000 euro.
L’assoggettamento del salario di produttività a imposta sostitutiva comporta un risparmio fiscale per il lavoratore: considerando, ad esempio, un reddito di lavoro dipendente annuo di 20.000 euro, il premio non sarebbe soggetto ad aliquota marginale del 27% come nel consueto regime progressivo, con un risparmio quindi di 17 punti percentuali, senza contare le addizionali regionali e comunali. Sotto il profilo del bilancio statale – come dicono i dati contenuti nella relazione tecnica – ipotizzando un’aliquota marginale media del 30% (che probabilmente sarà da aggiornare visto l’innalzamento del limite reddituale a 80.000 euro), si stima un costo annuo per lo Stato di circa 355 milioni di euro a titolo di Irpef, a cui andrebbe aggiunto un minor gettito di 19,8 milioni di euro per l’addizionale regionale e di 7,5 milioni di euro per l’addizionale comunale: si tratta di una spesa tutto sommato modesta (circa 382 milioni di euro) che potrebbe avere importanti riflessi sull’occupazione.
Un’ulteriore agevolazione è prevista qualora il lavoratore scelga di destinare l’importo relativo al premio di produttività a favore di fondi pensione o fondi sanitari: in tal caso l’ammontare dei contributi destinati alle forme integrative di previdenza e assistenza gode di esenzione fiscale totale. Per quanto concerne i fondi pensione, poi, l’esenzione troverebbe applicazione sia in entrata, con la detassazione dei contributi versati anche oltre il limite ordinario di deducibilità, sia in uscita, non concorrendo alla formazione della base imponibile della prestazione pensionistica integrativa.
Analoga misura è prevista per i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, a tutela del rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o di gravi patologie (c.d. “long term care” e “dread disease“), che saranno esclusi dalla base imponibile del reddito da lavoro dipendente.
Tenuto conto che le agevolazioni indicate vengono normalmente riconosciute dal datore di lavoro direttamente in busta paga, potranno tradursi in concreti stimoli alla contrattazione, grazie alla convenienza, non solo per la vecchiaia, di negoziare elementi alternativi all’aumento retributivo. Se opportunamente supportato dalle istituzioni e dalle parti sociali, lo sviluppo della contrattazione aziendale decentrata favorirebbe una maggiore tutela del lavoratore a scapito di contratti o salari umilianti e, conseguentemente, una ripresa del mercato del lavoro.
Naturalmente, affinché ciò accada a beneficio di tutti i settori produttivi e di tutte le aziende, piccole o grandi che siano, occorrerebbe davvero un minimo di sensibilità al bene comune, che ci convinca almeno a sederci attorno a un tavolo per discutere.