Eurofound, la fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ha presentato ieri un interessante report nel quale si rappresenta lo stato dell’arte sul cruciale tema “Women, men and working conditions in Europe”. Il report, in particolare, presenta un’analisi dei comportamenti e delle tendenze dell’attuale mercato del lavoro a livello comunitario con riferimento al cosiddetto “gender gap”. La prima amara constatazione è che, nonostante da ormai molti anni i diversi legislatori nazionali e comunitari siano intervenuti su questa delicata materia, un gap di genere continua ancora a esistere e, almeno in alcuni contesti nazionali, caratterizza il quadro occupazionale in quei territori.
Uomini e donne, infatti, sono occupati in diverse tipologie di lavoro e di imprese, sono inquadrati con diverse forme contrattuali, le loro retribuzioni sono spesso diverse e hanno, infine, un numero medio di ore lavorate diverso. La crisi – il rapporto fa riferimento ai dati del periodo 2008-2011 – sembra, a ogni modo, aver cambiato, almeno un po’, la situazione, ad esempio, con riferimento al tasso di occupazione complessivo. Tuttavia, e questa dinamica è presente anche in Italia, ciò accade, ahimè, non per un reale miglioramento della situazione delle donne, ma, altresì, per un deterioramento della condizione degli uomini.
Eurofound sottolinea, inoltre, come gli uomini lavorino (con riferimento al lavoro dipendente) in media intorno alle 40 ore settimanali rispetto alle circa 34 delle donne (molto più presenti, ad esempio, nel pubblico impiego). Se questo fenomeno è maggiormente comprensibile in paesi che fanno un elevato ricorso alla formula del part-time, si deve evidenziare come tale dinamica caratterizzi anche contesti dove il ricorso a tale modalità non è particolarmente diffuso come, appunto, Malta e il nostro Paese. Un dato, questo, coerente con quanto si evince analizzando le preferenze delle lavoratrici in materia di tempi di lavoro. Le donne italiane, infatti, assieme alle irlandesi e alle olandesi sono quelle che manifestano maggiormente il desiderio di lavorare di più.
Da questa voglia delle lavoratrici italiane di essere maggiormente partecipi e protagoniste nel mercato del lavoro si deve e si può ripartire. Difficilmente, infatti, ci potrà essere crescita se le imprese non riusciranno a sfruttare al meglio le competenze, la voglia di sviluppo professionale e le sensibilità e specificità del genere femminile.
Un elemento, questo, che sprona, quindi, la politica e le parti sociali a scommettere e puntare in maniera sempre più convinta, a partire dalle misure sul tavolo in questi giorni, sulla definizione di moderne e innovative politiche di “armonizzazione” dei tempi di lavoro e della cura familiare.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com