Dopo il riferimento nel discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica, Giorno Napolitano, è tornato ieri a parlare di lavoro, segnalando l’importanza dell’accordo interconfederale siglato dalle parti sociali lo scorso 28 giugno e la necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali. Tutto questo nel giorno in cui si sono un po’ riscaldati i toni tra sindacati e governo in vista del confronto che dovrà iniziare la prossima settimana, con la Cgil che ha invitato l’esecutivo a non tenere incontri separati con le parti sociali, ma un tavolo unitario. Richiesta che a quanto pare non verrà accolta. I temi da commentare con Giorgio Santini sono quindi parecchi. E il Segretario generale aggiunto della Cisl ci tiene a spiegare che «la cosa importante è che al più presto Governo e parti sociali definiscano un’intesa che rilanci la crescita. Dobbiamo, infatti, in tutti i modi far maturare la ripresa economica, perché la recessione è una pessima notizia per il lavoro, per le imprese e per i redditi».
La “polemica” Cgil-Governo di ieri rischia di complicare il raggiungimento di questo obiettivo?
Noi abbiamo invitato tutti a lasciare da parte gli aspetti formali. L’importante è che alla fine si arrivi a un tavolo unitario per raggiungere un’intesa che aiuti i lavoratori in questo momento di grave crisi a non restare senza ammortizzatori sociali e senza opportunità di rientro al lavoro per chi è in cassa integrazione o di nuova occupazione per i giovani. Arrivare a questo traguardo passando attraverso una prima fase di incontri esplorativi e bilaterali di certo non ci entusiasma, ma nemmeno ci scandalizza. Meglio non alzare barricate su questo.
Lei ha accennato al tema degli ammortizzatori sociali, di cui ha parlato, sempre ieri, anche il Presidente della Repubblica. È davvero necessaria una riforma in materia?
Ci troviamo in una grave crisi occupazionale e il 2012 non promette nulla di buono, visto che siamo già in recessione. Dovremo utilizzare il confronto con il governo per cercare di confermare gli ammortizzatori in deroga già in essere, in modo da non lasciare scoperte le persone che già ne usufruiscono e per trovare una soluzione al problema dei lavoratori più flessibili, che avendo meno esperienza lavorativa hanno meno tutele. In questo senso si rende necessaria una riforma che in realtà si sta cercando di realizzare già dal 1996, allorquando è stata introdotta la flessibilità nel mercato del lavoro.
Come dovrebbe essere questa riforma?
Il problema per garantire gli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori flessibili è la mancanza di risorse. Un modo per trovarle è fare in modo che il lavoro flessibile costi di più. Attualmente, infatti, nei contratti a tempo indeterminato una parte degli oneri previdenziali finisce a finanziare un fondo per la cassa integrazione. Qualcosa di simile esiste anche per i lavoratori interinali e per coloro che hanno un contratto a tempo determinato con un’anzianità lavorativa di almeno due anni. Chi ce l’ha inferiore o chi lavora, per esempio, con un contratto a progetto resta invece senza tutele. Dunque bisognerebbe prevedere degli oneri per finanziare gli ammortizzatori sociali anche per queste tipologie contrattuali.
Napolitano ha anche accennato all’accordo interconfederale dello scorso 28 giugno.
È un accordo fondamentale, perché riforma il sistema contrattuale dando molta forza agli accordi di secondo livello. Inoltre, è stato siglato da tutti i sindacati, cosa non scontata viste le lacerazioni ancora esistenti. Basti pensare al fatto che la Fiom non approva questo accordo. Il richiamo di Napolitano è quindi importantissimo, perché dà più forza alle tre confederazioni, anche alla Cgil, per andare avanti sulla strada della riforma.
Che caratteristiche dovrà assumere la contrattazione?
Andrà mantenuto il contratto nazionale per le materie di carattere generale e per la parte di salario legata all’inflazione. Però poi le condizioni normative ed economiche specifiche andranno misurate nella contrattazione sui luoghi di lavoro, favorendo l’aumento della capacità e della qualità produttiva per poter avere anche margini per maggiori retribuzioni. In questo modo la contrattazione viene strettamente legata alle condizioni reali di lavoro delle persone e può diventare una buona leva per tutelare i loro redditi.
Articolo 18, contratto unico o prevalente sono alcuni dei temi su cui l’esecutivo sembra intenzionato a muoversi. In vista delle prossime consultazioni, cosa siete pronti ad accettare delle proposte del governo e cosa gli suggerirete?
Consigliamo al governo tanta, ma tanta prudenza su queste materie e di affidarsi all’esperienza delle parti sociali. Nei prossimi incontri gli presenteremo due proposte. La prima: se si vuole trovare un contratto per aiutare i giovani che sia più stabilizzante rispetto a forme esistenti che sono sfociate nella precarietà, allora esiste già, è l’apprendistato. Per tre anni prevede un rapporto di lavoro con la formazione, in modo da allineare le competenze professionali. Solo dopo tre anni il contratto diventa a tempo indeterminato. Nel frattempo entrambe le parti sono libere di risolvere il rapporto di lavoro. Noi proporremo di rafforzare l’apprendistato.
In che modo?
Attraverso degli incentivi. Per esempio, per fare in modo che tutti i contratti a progetto che in realtà sono degli escamotage delle imprese per risparmiare vengano trasformati in contratti di apprendistato. La seconda proposta che faremo al governo l’ho accennata prima: rendere più costoso il lavoro flessibile, magari riducendone le forme contrattuali. In buona sostanza, potremmo arrivare a un sistema dove le nuove assunzioni avvengono con l’apprendistato e dove la flessibilità non è più un giungla, ma una forma contrattuale dotata di una spiccata temporaneità, ma con garanzie e tutele per il lavoratore.
Il tema delle pensioni è invece da considerarsi chiuso o parlerete anche di questo con il governo?
La questione per noi è ancora aperta e ci sono in particolare tre problemi molto seri da affrontare. Il primo riguarda le persone che in virtù di accordi collettivi o individuali sono stati o si sono licenziati o si trovano in mobilità e che hanno fatto conto di andare in pensione con le vecchie regole. Si tratta di oltre 100.000 persone che ora si trovano senza lavoro e senza la possibilità di andare in pensione nei tempi previsti. Bisognerà fare in modo che per loro valgano le vecchie regole, così da evitare un dramma sociale. C’è poi il problema delle pensioni di anzianità dei lavoratori precoci.
Ci spieghi di che cosa si tratta.
Si tratta di persone che hanno iniziato a lavorare molto presto, quando ancora minorenni. Dopo aver versato 42 anni di contributi, se andranno in pensione a 58 anni avranno una decurtazione del 6%. Ma qual è la loro colpa? Aver lavorato per 42 anni? Questa penalizzazione andrà quindi tolta, anche perché la trovo difficilmente compatibile con la Costituzione.
Qual è il terzo problema aperto in tema di pensioni?
Riguarda il fatto che con l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni quest’anno non uscirà più nessuno dal mercato del lavoro, mentre di solito c’è un turn over che garantisce circa 100.000 nuovi posti. Questo vuol dire che in un anno in cui avremmo bisogno come l’acqua nel deserto delle assunzioni, non potranno farle neanche le aziende che vanno bene perché i loro dipendenti non andranno in pensione. Bisognerà quindi fare in modo che l’aumento dell’età pensionabile diventi più graduale.
(Lorenzo Torrisi)