Articolo 18, contratto unico, riforma del mercato del lavoro: archiviata la riforma delle pensioni, sono questi, in materia di welfare, i temi all’ordine del giorno; si tratta adesso di rilanciare lo sviluppo per rendere sostenibile la “fase uno” della manovra Monti. E per far ripartire l’economia. Occorre, quindi, innescare un circolo virtuoso, che accresca, anzitutto, i posti di lavoro. È opinione comune che non sarà possibile farlo senza eliminare le ingessature che caratterizzano il settore occupazionale italiano. Metter mano a una simile operazione senza destabilizzare l’ordine sociale e i diritti fondamentali di chi lavora è impresa ardua. IlSussidiario.net ha chiesto a Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera, come potersi districare tra le varie ipotesi in campo.
Per l’ex ministro del welfare, il contratto unico, in sostanza, già esiste, ed è rappresentato dall’apprendistato. Al termine di, al massimo, tre anni, in cui il lavoratore deve godere di svariate tutele, l’azienda ha facoltà di decidere se continuare il rapporto o interromperlo. In ogni caso, le condizioni di ogni eventualità andranno discusse secondo una logica di contrattazione, a livello sindacale e aziendale, decentrata.
«La proposta è assolutamente condivisibile», dice Cazzola. «Fa svolgere al contratto di apprendistato la funzione che altri attribuiscono al contratto unico. Manca, tuttavia, di un aspetto importante, che è quello della riforma dell’articolo 18. È presumibile, in ogni caso, che Sacconi si riconosca in quanto era scritto nella lettera di intenti del 26 ottobre in cui, in termini generici, si riportava l’esigenza di rivedere l’articolo sull’aspetto dei licenziamenti di carattere economico».
– Secondo il senatore e giuslavorista, occorre creare un contratto unico a tempo indeterminato, finalizzato all’eliminazione graduale delle forme a tempo determinato. Tale contratto escluderebbe le tutele dell’articolo 18, salvo i casi più gravi. Ma sarebbe da applicare solamente ai neoassunti.
«È indubbiamente una delle prime e più complete proposte che sono state formulate. È, tuttavia, inficiata da una serie di inaccettabili furbizie. Non si può pretendere che la nuova disciplina venga applicata solamente ai nuovi occupati, mentre gli altri continuano ad essere tutelati come sempre. È una forma di captatio benevolentiae nei confronti di chi è già dentro. E che finge che taluni diritti siano acquisiti quando non lo sono». La proposta prevede, inoltre, indennità di disoccupazione per i lavoratori licenziati estremamente alte: il 90% della retribuzione durante il primo anno di licenziamento, l’80% e il 70% rispettivamente nel secondo e nel terzo anno. «Si tratta di una “flexsecurity” all’italiana che non mi convince. Ha un grande appeal comunicativo, ma non è sostenibile».
– Secondo l’ex ministro, l’articolo 18 non si tocca. Si deve, invece, ipotizzare la creazione di un “contratto prevalente” – una sorta di contratto unico -, della durata massima di 3 anni, finalizzato all’introduzione al tempo indeterminato e al superamento dei contratti a termine.
«Credo che il contratto unico sia un errore. Anzitutto, le forme di lavoro non sono una quarantina, come di recente sostengono in molti», fa presente Cazzola. «I contratti sono a tempo determinato, indeterminato e di apprendistato. All’interno di queste macrocategorie ci sono delle varianti. La pluralità di rapporti, inoltre, rappresenta una ricchezza, non un elemento distorsivo. La Legge Biagi, del resto, tendeva a regolare in maniera adeguata rapporti che meritavano una regolamentazione specifica».
– Per l’economista, la chiave del nuovo impianto deve essere il Cui, il contratto unico di inserimento, che sostituisca la maggioranza delle forme a termine e che, per tre anni, non fornisca al lavoratore licenziato alcuna garanzia. Al 36esimo mese, se scatta l’assunzione, il lavoratore godrà di tutte le tutele del tempo indeterminato, compreso l’articolo 18.
«Si tratta di un contratto unico di accesso al contratto a tempo indeterminato. Non mi sembra che essere assunti a termine per tre anni nei quali si possa essere licenziati rappresenti la soluzione ai problemi. Tanto più che si tratta, di fatto, di una forma di rapporto in gran parte già esistente».
– Anche qui, la chiave di volta è una sorta di contratto unico, chiamato Cuif, contratto unico di inserimento formativo. Anche in tal caso, dopo 3 anni in cui si è licenziabili, scatta l’assunzione. I contratti a progetto o altre forme a termine sono contemplabili unicamente per le forme di retribuzione superiori al 40.000 euro annui.
«40mila euro di salario minimo, anche se lordi, è il livello di retribuzione di persone prossime ad essere quadri. Per il resto, mi sembra il tentativo di razionalizzare quanto già esiste senza aggiungere nulla di nuovo all’esistente», afferma Cazzola.
Abbiamo chiesto all’onorevole, a questo punto, di illustrarci le sue proposte: «Oggi l’articolo 18 consente al lavoratore che ha ottenuto ragione in giudizio di rifiutare il reintegro a favore di una penale pari a 15 mensilità. Io propongo, in un Pdl di cui sono il primo firmatario assieme a Della Vedova, che tale facoltà sia data anche al datore di lavoro soccombente in giudizio; ovvero, possa scegliere tra il reintegro o il pagamento della penale. Ovviamente, restano esclusi i casi più gravi, come i licenziamenti motivati da discriminazioni, maternità o matrimoni».
Un’altra proposta lo vede firmatario assieme a Contento. «In via sperimentale per alcuni anni, si potrebbe far si che i contratti a tempo determinato trasformati in tempo indeterminato contemplino solamente l’obbligo del risarcimento del danno».