L’attuale e forte contenzioso tra Confindustria e i sindacati non è la solita querelle che va in scena quando una parte e una controparte non trovano un accordo. Se per pura convenzione ammettiamo che la parte sia Confindustria e la controparte siano Cgil Cisl Uil, possiamo constatare come la stessa controparte è tutt’altro che su posizione cristallizzate. La Cisl ha infatti avanzato una proposta in cui, per esempio, si legano aspetti retributivi e produttività aziendale; questo – che è anche ciò che vogliono gli industriali – per Cgil e Uil significa ridurre i salari.
I problemi, tuttavia, non sono solo di natura retributiva. La rottura pare consumata, anche perché – al di là delle posizioni distanti – per ragioni diverse Cgil e Uil non vogliono un accordo: Susanna Camusso sa che qualsiasi intesa dovesse raggiungere avrà dei problemi in casa sua; a Carmelo Barbagallo invece non interessa, la Uil vuole il rinnovo dei contratti di settore.
Il contenzioso che accompagna questo mancato accordo è molto di più che una querelle perché è chiaro che segna la fine di un’epoca: per molti è la fine della concertazione, ma i più dimenticano che sono quasi 20 anni che di concertato si è visto molto poco.
Si apre, inevitabilmente, una fase nuova per il sindacato, con meno spazi per i confronti politico-confederali e più legata alla contrattazione. Questo, fondamentalmente, per due macro-ragioni: in primis, le stesse federazioni – ovvero il sindacato che fa i contratti – spingono per questa strada, anche per la crescente contrattazione aziendale; in secundis, stante lo stop delle parti, il governo interverrà per risolvere questa situazione di stallo, ed è chiaro che questo va nella direzione di indebolire il livello confederale.
Qualsiasi sia il tipo di intervento che il governo farà, il terreno su cui si interverrà sarà quello del salario minimo, delle regole di rappresentatività e rappresentanza, e degli incentivi fiscali alla contrattazione aziendale. Ciò renderà più protagonista il contratto e, anche, più certo ed esigibile. L’Italia è uno dei pochi paesi europei che – salvo rari episodi – ha preservato lo spazio della contrattazione collettiva dagli interventi del legislatore: il fatto che ora si giunga a un intervento che pare inevitabile la dice lunga sulle criticità che stanno attraversando le nostre relazioni industriali.
Crescono intanto le possibilità di alcuni rinnovi di settore. Lo stesso Squinzi, riferendosi alle categorie, ha detto che “per chi ritiene di andare avanti l’autonomia c’è”. Qualcuno, relativamente all’ultimo trimestre dell’anno, potrebbe aver trovato delle soluzioni circa il credito che le imprese hanno maturato dal lavoro per via delle dinamiche inflattive impazzite. E non è detto che la cosa non possa avere ripercussioni positive sull’intero sistema.
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