Il tempo per la trattativa sulla riforma del modello contrattuale è scaduto. Le dichiarazioni fatte dal presidente di Confindustria hanno reso evidente che non si poteva proseguire in un dibattito fra sordi. D’altro canto il tentativo di avviare un percorso di confronto non era riuscito a decollare dopo che al primo incontro solo la Cisl si era presentata all’appuntamento, mentre Cgil e Uil avevano disertato ponendo delle pregiudiziali. La richiesta avanzata era quella di chiudere le trattative aperte per i contratti di categoria e solo dopo sarebbero stati disponibili a prendere in considerazione l’avvio dii una riforma complessiva. Ritenere che fra i due livelli di contrattazione non vi sia un rapporto e che non si poteva rinviare ulteriormente il tema centrale della contrattazione nazionale ha fatto sì che sia calato il sipario su questo primo scontro tattico.
Il governo può decidere a questo punto di intervenire rompendo l’ennesimo tabù. In questo Paese non si vuole che la politica sostituisca la trattativa fra le rappresentanze sindacali. Ma il tema della produttività, che è il perno centrale della questione oggi aperta sullo sfondo dal dibattito sindacale, è fondamentale per sostenere la debole ripresa economica in atto. Le norme che hanno fluidificato il mercato del lavoro devono trovare in nuovi contratti lavorativi una spinta per favorire riprese di produttività a sostegno della crescita economica.
Fissare un salario minimo può non essere la migliore soluzione possibile, ma in assenza di capacità contrattuale che fissi dei riferimenti nazionali e sviluppi una contrattazione decentrata, appare come la via d’uscita per sbloccare un confronto altrimenti improduttivo. Come troppo spesso succede, è la testarda realtà a rompere gli schemi ideologici che bloccano la capacità delle organizzazioni di rappresentanza di compiere scelte di autoriforma.
Il temporale era stato annunciato da quando Marchionne ruppe il vincolo del contratto nazionale. Mise in discussione una tradizione confindustriale e trovò nella maggioranza degli operai, che approvarono il contratto aziendale (con il sostegno di Cisl e Uil in quel caso), la conferma che la rottura riguardava anche le rappresentanze sindacali operaie. D’altro canto tutte le rappresentanze incontrano oggi difficoltà. Il processo di individualizzazione della società mette in crisi le forme di rappresentanze diretta e soprattutto punta a ottenere gratifiche, economiche o in termini di orari e servizi, più adeguati alle proprie esigenze. Ciò è difficilmente contrattabile a livello nazionale e la spinta verso una contrattazione aziendale e/o territoriale trova qui l’origine del consenso diffuso.
È evidente che gli apparati tradizionali, organizzati sulla base di un processo di delega forte e finalizzati a contrattazioni centralizzate, diventano un freno alla riforma della rappresentanza sia perché inadeguati, sia perché lontani dai contenuti richiesti dalle nuove piattaforme rivendicative. L’irrompere del tema del welfare aziendale può essere visto come la vicenda più eclatante.
A partire da alcune grandi aziende si è diffuso un tema di produzione di servizi di welfare dedicati ai dipendenti dell’impresa e che è parte integrante degli accordi sindacali aziendali. L’esempio si sta oggi diffondendo anche in imprese di minori dimensioni attraverso l’organizzazione di fornitori di welfare aziendale nei territori.
In questo modo l’impresa si presenta come produttiva di servizi diretti ai propri dipendenti. La contrattazione conseguente porta a un ruolo della rappresentanza sindacale che rischia di essere al rimorchio della capacità di proposta dell’azienda.
La sfida è aperta. Non si tratta solo di impostare piattaforme finalizzate a ottenere obiettivi, ma entrare nel merito dei servizi proposti. Salto vero di qualità sarebbe una competizione nella capacità di fornire i servizi migliori, ossia dimostrare una maggiore capacità di cogliere le esigenze dei rappresentati e la richiesta di una rappresentanza non per delega ma sempre più personalizzata.
A questo punto la sfida è davvero aperta. Chi ha più filo tesserà più tela, ma certamente chi continua a rimpiangere le fasi contrattuali passate rischia di non ritrovare più la propria base di rappresentati.