Ancora qualche mese e le cose cambieranno, e non poco, per “la repubblica degli stagisti” lombardi. Nella giunta del 25 ottobre, infatti, la Regione ha approvato i “Nuovi indirizzi regionali in materia di tirocini” che, come vedremo, porteranno considerevoli novità nel loro funzionamento. Questi indirizzi sono stati richiesti dalle Linee Guida definite il 24 gennaio scorso dalla Conferenza Stato-Regioni, previste dalle legge Fornero n.92 del 28 giugno 2012. In primo luogo, è importante sottolineare che nei nuovi indirizzi il tirocinio è definito come “una metodologia formativa ovvero una misura di politica attiva finalizzata agli obiettivi dell’orientamento, dell’occupabilità e dell’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro” e non come rapporto di lavoro. Ribadire la natura del tirocinio è importante, perché consente di evitare alcune discussioni o critiche che sarebbero opportune qualora si trattasse di un contratto di lavoro.
Chiarita la definizione si passa alla suddivisione nelle due tipologie di tirocini: il tirocinio extracurriculare e quello curriculare. La prima tipologia è a sua volta suddivisa principalmente in tirocinio “formativo o di orientamento” e tirocinio di “inserimento e/o reinserimento al lavoro”. Il tirocinio formativo è quello indirizzato ai neolaureati entro 12 mesi e ha la funzione di agevolare il periodo di transizione scuola-lavoro, mentre la seconda tipologia intende aiutare i disoccupati e inoccupati a riaccedere nel mercato del lavoro. I tirocini curriculari sono invece indirizzati agli studenti di istituti secondari superiori, università, master e dottorati che intendono usufruire di questa modalità formativa per “l’acquisizione degli obiettivi di apprendimento specifici del percorso stesso”.
La valorizzazione dell’alternanza scuola-lavoro mediante i tirocini curriculari è uno degli elementi importanti di questi nuovi indirizzi – come ha commentato Michele Tiraboschi su Il Sole 24 Ore definendo gli indirizzi lombardi come un Testo Unico dei Tirocini – in particolare perché l’utilizzo del tirocinio non come mero strumento ma come metodologia formativa è un passo in avanti per scardinare una concezione separatista di sapere pratico e sapere teorico. Se infatti il tirocinio è una modalità per l’acquisizione degli obiettivi presenti nei piani di studio degli studenti, esso è sostanzialmente parificato alla normale didattica frontale.
Rimandando al testo della delibera per un’analisi più dettagliata è utile riportare comunque alcune ulteriori novità. La prima riguarda i limiti del numero dei tirocinanti che i soggetti ospitanti possono includere nell’organico: un solo tirocinante nelle strutture composta al massimo da 5 dipendenti, due in quelle con numero di dipendenti da 6 a 20 e il 10% del totale in quelle con più di 20 lavoratori. Questo aspetto è importante per evitare l’utilizzo indiscriminato della forma del tirocinio che ha come unico scopo quello d’avere a disposizione mano d’opera a basso costo, con la conseguenza negativa di non svolgere una funzione formativa perché le risorse disponibili non hanno le forze di formare un numero elevato di tirocinanti.
Ulteriore limite all’uso sbagliato del tirocinio, che ha contribuito all’idea diffusa che questo corrisponda a una forma legale di sfruttamento, è l’aver recepito dalle Linee Guida del 24 gennaio l’obbligo dell’indennità di partecipazione che in Lombardia non potrà essere inferiore a 400 euro mensili (300 euro nel caso il tirocinio si svolgesse nella Pubblica amministrazione). In questo modo una struttura ospitante è più cosciente che l’attivazione di un tirocinio è un investimento non solo per lo stagista ma per lei stessa.
In un quadro nazionale di grande disparità e differenze tra le varie regolamentazioni regionali per i tirocini- ben descritto su questo giornale da Emmanuele Massagli e Umberto Buratti – è quindi utile guardare alla normativa lombarda perché, attraverso le nuove indicazioni che abbiamo illustrato velocemente, tenta di arginare il binomio tirocinio/sfruttamento riportando lo stage alla sua vera natura, ossia quella di una modalità formativa che aiuti il giovane a entrare nel mondo del lavoro o, meglio ancora, gli dia la possibilità di incontrarlo già negli anni del suo percorso scolastico. Perché in un momento come questo l’integrazione tra lavoro e istruzione è quanto mai urgente.