Le vicende degli esodati e, più in generale, di chi ormai può solo sperare che la propria carriera lavorativa si concluda andando in pensione entro tempi accettabili, non sono più politicamente spendibili. Non si spiega altrimenti la decisione del Parlamento e del governo di ignorare, nell’ambito degli emendamenti alla legge di stabilità, qualsivoglia ipotesi di modifica sostanziale alla riforma Fornero, salvo un leggero intervento sull’indicizzazione degli assegni previdenziali all’inflazione. Eppure, le questioni in ballo erano molte, come spiega Domenico Proietti, segretario confederale della Uil con delega alle Politiche fiscali e previdenziali.
Come giudica il lavoro del Parlamento rispetto al tema delle pensioni?
Molto negativamente. La legge di stabilità rappresentava l’occasione per ripristinare un minimo di equità, dopo la gigantesca operazione di cassa effettuata da Monti e dalla Fornero. Avevamo chiesto, in particolare, di ripristinare l’indicizzazione all’inflazione per tutte le pensioni e di introdurre un meccanismo di flessibilità in uscita che consentisse di scegliere quando accedere al trattamento previdenziale entro un range compreso tra i 62 e i 70 anni di età, con penalizzazioni e vantaggi a seconda del fatto che l’uscita fosse anticipata o ritardata. Abbiamo fatto, inoltre, presente che una misura del genere avrebbe permesso lo sblocco del turn over, determinato proprio dall’elevata età pensionabile.
Poco e nulla pare sia stato fatto anche sul fronte degli esodati.
Infatti, avevamo chiesto di risolvere in maniera definitiva la questione; invece, notiamo che è stata data una risposta parziale, ipotizzando le salvaguardie per un’ulteriore piccola tranche, ma lasciando nell’indeterminatezza tutti gli altri.
Cosa ne pensa della rivalutazione delle pensioni che è stata fatta?
Lo sblocco delle indicizzazioni riguarda esclusivamente le pensioni fino a tre volte la minima. Tra le quattro e le sei volte, l’adeguamento si riduce progressivamente, mentre per le pensioni superiori a sei volte la minima è solo del 50%. Il provvedimento, evidentemente, non risponde all’esigenza di ridistribuire un po’ di risorse a pensionati e lavoratori in modo da far ripartire i consumi e la domanda interna e dar fiato all’economia.
Sulla flessibilità, continuerete a dar battaglia?
Il tema sarà sempre all’ordine del giorno, e continueremo a sollecitare il Parlamento sulla questione, contestualmente all’esigenza di abbassare le tasse e differenziare i lavori a seconda del grado di usura.
L’obiezione è che la flessibilità costa.
Lo sappiamo benissimo. Le risorse vanno reperite, anzitutto, erodendo una minima parte del macroscopico risparmio prodotto dalla riforma stessa. Inoltre, è necessario tagliare la spesa improduttiva. In tal senso, abbiamo avanzato al Parlamento una proposta estremamente circostanziata, a partire dall’introduzione di una centrale unica per gli acquisti che, adottando il criterio dei costi standard, livelli verso il basso i costi per acquisti e forniture della pubbliche amministrazioni. Altresì, bisogna procedere con un drastico ridimensionamento delle municipalizzate, accorpandole ed eliminando Cda e poltrone inutili. Non è pensabile, per intenderci, che ogni comune abbia la propria azienda di trasporti, quando ne basterebbe magari una a livello regionale.
Si dice che ci vuole tempo.
Non è vero, l’anno scorso, dalla sera alla mattina, l’Inpdap è stata soppressa e le sue funzioni trasferite all’Inps. Si tratta di scelte politiche, per le quali occorre un coraggio che, a questa maggioranza, manca.
Per lo scivolo d’oro dei militari non è mancato.
La vicenda rappresenta una grave contraddizione. Non c’è alcuna coerenza tra i sacrifici richiesti sempre ai soliti noti e un provvedimento del genere.
(Paolo Nessi)