La legge di stabilità prosegue il suo iter parlamentare e c’è ora attesa per la presentazione definitiva degli emendamenti. Nel disegno di legge governativo ci sono anche interventi che riguardano la previdenza e il lavoro, in generale criticati per la mancata presenza o la scarsa incisività di provvedimenti annunciati dall’esecutivo nei mesi precedenti. Abbiamo fatto il punto con Pietro Ichino, giuslavorista e senatore di Scelta civica.
Sulle pensioni, nell’ambito della legge di stabilità, non è stato varato alcun intervento significativo, salvo uno sblocco parziale delle indicizzazioni. Sarebbe stato opportuno introdurre un meccanismo di flessibilità che consentisse di andare in quiescenza entro un range compreso tra i 62 e i 70 anni, con penalizzazioni e incentivi a seconda che si anticipi o posticipi l’uscita?
Sarei favorevole all’introduzione di un meccanismo di flessibilità di questo genere, a patto che la possibilità di attivazione precoce del trattamento pensionistico sia interamente finanziata dalla riduzione del trattamento stesso.
L’obiezione a una riforma del genere è che non ci sono abbastanza risorse. È così?
Se si rispetta la condizione che ho detto, l’anticipazione della rendita vitalizia si finanzia interamente con la riduzione dell’entità della rendita stessa. E questo è un bene: il sistema deve infatti tendere a incentivare il più possibile l’opzione per la continuazione dell’attività lavorativa. Non è vero che in questo modo si riducono le possibilità di lavoro per i giovani: semmai è vero l’inverso.
Intuitivamente sembrerebbe vero il contrario.
Nei paesi in cui il tasso di occupazione dei cinquantenni e sessantenni è più alto, è più alto anche il tasso di occupazione nella fascia tra i 18 e i 30 anni. E viceversa. Il sessantenne che continua a lavorare consegue un reddito più elevato, consuma di più e non preleva dalla fiscalità generale risorse, che così possono essere destinate a investimenti o istituzione di servizi, con effetti occupazionali positivi per i più giovani.
Una misura del genere contribuirebbe e sbloccare il turn over? Il blocco è stato aggravato dalla riforma Fornero, ovvero da cosa dipende? Cosa sarebbe necessario per sbloccarlo?
Per il motivo che ho detto, se si guarda al sistema nel suo complesso non è aumentando il numero dei pensionati che si aumentano le occasioni di lavoro per i più giovani.
È opinione comune che il governo abbia avuto poco coraggio sul taglio del cuneo fiscale. Avrebbe potuto fare di più?
Ridurre il cuneo fiscale sulle buste-paga è indispensabile per rimettere in moto il mercato del lavoro. È la raccomandazione dell’Unione europea, che ci eravamo impegnati a seguire: ridurre prioritariamente la pressione fiscale su chi produce, cioè lavoro e impresa, solo in seconda battuta su chi consuma, e solo in ultima istanza su chi possiede. È stato un grave errore, da parte del Pdl, costringere il Governo a seguire la priorità inversa, detassando per primo chi possiede e lasciando solo le briciole per chi produce.
Alla luce dell’assenza di crescita, qual è il giusto mix di riforme economiche e riforme legate al mercato del lavoro per rilanciare l’occupazione?
Rispondere a questa domanda richiederebbe molto di più che le poche righe di cui qui disponiamo. In estrema sintesi, sono necessarie tutte le misure volte ad aumentare il flusso degli investimenti esteri nel nostro Paese: quelle, per intenderci, indicate nel documento Destinazione Italia che il Governo ha fatto proprio a settembre. Inoltre, è indispensabile trasferire risorse dalle politiche passive del lavoro, cioè dal puro e semplice sostegno del reddito ai disoccupati, alle politiche attive, quelle cioè che mirano a reinserire il disoccupato nel tessuto produttivo, stabilendo un nesso di condizionalità tra sostegno del reddito e la disponibilità effettiva del beneficiario. In quest’ottica, considero importantissimo che si avvii la sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione: per i dettagli di questo progetto devo rinviare al mio sito.