Viaggiando molto, come sto facendo in quest’ultimo periodo, mi rendo conto che il confronto con gli altri paesi europei e la nostra amata Italia lascia trasparire soprattutto un elemento ricorrente: la mancanza di coraggio. Non vorrei essere fraintesa. Il coraggio non manca nei singoli. Abbiamo storie straordinarie di coraggio. Mi piace spesso ricordare quanto sia emozionante l’avventura di Oscar Farinetti e di Eataly, che non solo ha saputo reinventare il modo di proporre la vendita e il consumo dei prodotti migliori del Bel Paese in campo alimentare, ma ha anche esportato il modello con grande successo in tutto il mondo. Il negozio di New York con oltre sette milioni di visitatori l’anno è uno dei punti più visitati della città (ai livelli di Empire State Building e Metropolitan) e fattura circa 80 milioni di dollari. Potremmo anche parlare della famiglia Guzzini che dalle Marche, nell’incantevole panorama di Recanati, è diventata sinonimo di casa da oltre 100 anni attraverso innovazione e design. E le case history potrebbe essere molte altre.
Quello di cui sto parlando è la capacita del Paese di avere coraggio nel suo insieme. Pensiamo al tema della mobilità elettrica. In questo momento sono molte le aziende automobilistiche che si stanno muovendo in questa direzione, con quali esiti sarà il mercato a dirlo. Tuttavia, è chiaro che il contesto giocherà un ruolo decisivo. E lo sta già giocando. Bastino due accenni. In Norvegia, a ottobre, l’auto più venduta è stata la Nissan Leaf, vettura elettrica. In Olanda, nella grande area urbana del Ranstad che raggruppa le quattro principali città del Paese a partire da Amsterdam (circa 7 milioni di abitanti), entro la fine del 2013 ci saranno 5 mila colonnine pubbliche.
Basteranno questi due segnali per cambiare lo status quo? Certamente no. Dovranno cambiare i consumi, l’approccio alla mobilità, l’integrazione tra trasporto pubblico e privato, forse anche il modo di vendere le automobili e tanto altro ancora. Ma la cosa importante è che questi due nazioni stanno provando a cambiare il paradigma. Stanno scommettendo, su un modo differente di fare le cose in futuro. Ci stanno mettendo un po’ di coraggio.
Se guardiamo cosa sta succedendo in Italia su questo tema essenziale, vediamo che ci troviamo di fronte a immobilismo legislativo, nessun incentivo economico o normativo verso la mobilità elettrica, una babele di regolamenti dove ogni Comune, di fatto, decide autonomamente cosa fare in tema di circolazione nei centri storici, con soluzioni diverse che spesso mutano nel tempo in modo sostanziale. È ovvio che in questo modo, l’incertezza complessiva si riflette sui consumi e sulle scelte. Avremmo bisogno di una visione strategica condivisa e di lungo periodo che potrebbe orientare i desiderata dei clienti di domani. Ma, per ora siamo ben lontani da averla.
“Il coraggio – scrive Oscar Farinetti nel suo ultimo libro che racconta l’incontro con 12 grandi del vino italiano – non è soltanto il superamento delle paure, determinazione nell’agire, forza d’animo. Il coraggio, per come lo vedo io, se non è accompagnato da capacità di analisi, studio attento dello scenario e tenacia, tanta tenacia, non è coraggio… non c’è coraggio senza rispetto… senza senso di responsabilità… senza orgoglio. Non c’è coraggio senza ottimismo: il quale, attenzione, non vuol dire pensare che tutto vada sempre bene, ma che tutto si può risolvere”.
In quest’ottica un ruolo determinante lo giocano i giovani. Sentire il presidente della Lamborghini dichiarare qualche mese fa alla giornata dell’Economia a Bologna che “i ragazzi mandano i curricula da tutta Italia poi, però, quando si tratta di trasferirsi a lavorare da noi (a Sant’Agata Bolognese, ndr) non ne vogliono sapere” appare assurdo in un momento in cui il lavoro è diventato il tema centrale del Paese. Certo potremmo parlare del livello delle retribuzioni per i neoassunti e dei costi, spesso elevatissimi, che vanno sostenuti per vitto e alloggio. Ma quello che importa, soprattutto, è avere il coraggio di accettare la sfida, di darsi da fare e di provare a cambiare le cose.
Mi capita, talvolta, di fare delle conferenze durante dei master. La domanda finale dei ragazzi è sempre la stessa. A chi devo mandare il mio curriculum per entrare in una grande azienda come quella dove lavora lei? Di solito ribalto il concetto: “Cominciate a capire dove volete andare e provateci con tutti voi stessi. Non è detto che il percorso sia rettilineo. Di solito non lo è mai. Ma se ci provate, se ci mettete tutti voi stessi, farete strada”.
“È facile imparare a diventare coraggiosi – ricorda ancora Oscar Farinetti – e il metodo migliore è guardare storie di coraggio di persone normali che attraverso il coraggio sono diventate speciali… Perché il coraggio è contagioso”. Una mia amica qualche tempo fa lavorava per una grande azienda e adorava il suo lavoro. Poi sono emersi dei problemi personali di incompatibilità forte con l’ambiente. Il viaggio per recarsi in ufficio era diventato un calvario e dopo un percorso tormentato ha deciso di licenziarsi. Sapeva che era la cosa giusta, ma era rammaricata perché quello che faceva era quello che aveva sempre sognato di fare.
Quando ne parlavamo, le dicevo che avrebbe ritrovato la sua strada e che, probabilmente, un giorno non tanto lontano si sarebbe guardata indietro, orgogliosa di se stessa, per aver dimostrato di avercela fatta, nonostante quella esperienza non felice. Da qualche tempo è tornata a fare quello che le piace. Grazie alla sua professionalità, diverse aziende l’hanno contattata e si diverte di nuovo. Lei dice che è solo fortuna. Io dico che è coraggio. Quello di scegliere.