Gli anni delle vacche grasse sono finiti, evaporati come neve al sole. Oggi il Milan vaga nell’anonimato, si guarda allo specchio memore dei tempi in cui spendeva e spandeva ma non si riconoscenell’immagine riflessa. Neppure i tifosi ci riescono e a farne le spese, oltre le casse del club, è San Siro, sempre più desolatamente vuoto. Finché Silvio Berlusconi riusciva a cacciar fuori di tasca propria ingenti quantità di denaro per sontuose operazioni di calciomercato, la situazione era diversa e la Milano calcistica riusciva ad incantare nel bene e nel male. In ogni caso, i supporters si sentivano stimolati da una società che intendevaguardare al futuro, stendere progetti, competere in Europa e nel mondo. Arriviamo quindi ai giorni nostri. La crisi economica imperversa, il portafoglio del patron si chiude, il Fair Play Finanziario si fa sentire: tutto questo avrà serie ripercussioni sulMilan che, da frequentatore dei salotti più chic della Serie A si ritrova in zone lugubri, lontane dagli standard di una big che si rispetti. Nel caso dei rossoneri, con l’addio di Ancelotti ha fine uno dei cicli più dorati della recente epopea milanista; né Leonardo, né Allegri, tantomeno Seedorf, sono riusciti a rianimare un corpo senza testa ovvero, sciogliendo la metafora, una squadra senza una società forte alle spalle. Qualche sospiro c’è stato ma uno Scudetto e una Supercoppa italiana non fanno primavera. Tanto più che i migliori giocatori di quel Milan, Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva, furono venduti dopo soli due anni per risanare le finanze del club. Quindi? Tutto da rifare. L’allora tecnico del Diavolo, Massimiliano Allegri, si ritrovò con una squadra mozzata a lottare per vette impossibili e, di fatti, il club di via Aldo Rossi riuscì in extremis a piazzarsi soltanto terzo, termine massimo per ottenere l’accesso alla Champions League, seppur passando per i fastidiosi preliminari. Nella finestra di mercato invernale Galliani fu abile a riportare in Italia il talento incompreso di Mario Balotelli. Se i gol dell’attaccante in un primo momento funsero da panacea per tutti i mali per una formazione piatta come quella del Milan, nella stagione successiva Supermario si rivelò una grana in più, una calamita in grado di attirare sui rossoneri l’attenzione di tutti i media. Tra un El Shaarawy che si perde, una difesa che fa acqua da tutte le parti, un Allegri che smarrisce la rotta e un Seedorf troppo arrogante nei confronti della società, il Milan continua a perdere consensi. Come abbiamo visto, la crisi attuale dei rossoneri arriva da lontano ed è figlia di una serie di errori, un effetto valanga che non fa altro che ingrandirsi ogni giorno che passa. Il debuttante Inzaghi era partito infondendo alla squadra la cattiveria e la fame giusta ma gli undici in campo, dopo un discreto inizio, si sono afflosciati. Menez, imprendibile nelle gare con Lazio e Parma, si è trasformato in un anarchico, il sorprendente Honda sembra aver terminato le cartucce della sua pistola, El Shaarawy rimane ancora una grande incognita mentre Torres non segna. In generale, sembra quasi che il Milan sia paralizzato dalla responsabilità che ha sulle spalle dopo un’annata disastrosa;
Riscattarsi richiede impegno e dedizione. Questi non mancano ma appena la squadra si è trovata a ridosso dei primi tre-quattro posti è subentrata l’ansia da prestazione e il conseguente blocco delle ambizioni rossonere. Nel bel mezzo delle prove di maturità decisive con Fiorentina e Palermo, il gioco frizzante del Diavolo è sparito lasciando spazio ad un’improvvisazione generale con interpreti confusionari. Senza mettere in conto le falle difensive che ormai convivono con il Milan da troppi anni. Coesione, coraggio e fiducia nei propri mezzi: da qui deve ripartire il Milan.
(Federico Giuliani)