«La Cassa Integrazione Guadagni è un macigno che grava sul nostro sistema previdenziale, bloccando il reinserimento dei cassintegrati nel sistema produttivo e alzando a dismisura le tasse su ciascuna ora di lavoro». Ad affermarlo è Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano. Secondo una ricerca Ocse, i salari medi del nostro Paese sono pari a 38.100 dollari l’anno (28.900 euro), contro i 42.700 dollari della media Ocse. I contributi raggiungono il 33% del reddito lordo, mentre la media Ocse è pari al 19,6%, e il precariato è sempre più diffuso. La conseguenza rischia di essere che la prospettiva di molti giovani è di trovarsi privi di una pensione dignitosa una volta che saranno anziani.
Professor Del Conte, che cosa ne pensa dei dati diffusi dal rapporto Ocse?
A gravare sul nostro mercato del lavoro è un carico fiscale molto elevato a fronte di prestazioni previdenziali molto scarse, sia in termini di rendita erogata al compimento del periodo contributivo, sia di età alla quale ci si può ritirare dal lavoro La riforma Fornero del 2011 porterà a regime a 67 anni l’età pensionabile, contro i 65 anni di Francia e Germania, e in età più avanzata rispetto a qualsiasi altro Paese in Europa. Fatti i rapporti tra versamento contributivo e rendita, il giovane italiano guadagna meno rispetto agli altri Paesi Ocse e la sua situazione di precarietà si protrae più a lungo che altrove. Il risultato di tutti questi fattori è che c’è un elevato peso contributivo su ciascuna ora di lavoro e una bassa prestazione previdenziale, o addirittura il rischio di non arrivare mai al compimento del periodo minimo contributivo per ottenere la pensione.
Qual è la vera causa di questa anomalia della previdenza italiana?
In Italia esiste un sistema di welfare legato agli ammortizzatori sociali che si finanzia con i contributi previdenziali. Nel Regno Unito al contrario vi sono fondi specificamente destinati a quei determinati ammortizzatori sociali. La Cassa Integrazione Guadagni in Italia ha un costo molto elevato, a differenza di quanto avviene in altri Paesi: è dunque uno strumento molto utile ma molto dispendioso. In mancanza di una riforma complessiva del sistema di ammortizzatori sociali, noi continueremo a pagare una quota consistente del gettito contributivo attraverso questi ammortizzatori che non hanno un loro bilancio autonomo.
Per quale motivo l’Italia spende di più in ammortizzatori sociali rispetto agli altri Paesi?
Il sistema italiano è molto diverso da quello tedesco, dove esistono i cosiddetti “mini-jobs”. Anche in Italia formalmente c’è il cosiddetto “patto di servizio” che prevede l’impegno da parte del cassintegrato a seguire corsi di riqualificazione professionale o comunque a trovare un’occupazione. Nel momento però in cui questa disoccupazione non si trova neanche in forme di mini-jobs, i costi della cassa integrazione devono essere versati integralmente. In Germania al contrario la riduzione del bisogno reddituale proporzionale al raggiungimento di uno stipendio sia pur basso, genera un minor esborso da parte del sistema previdenziale tedesco. Nello stesso tempo c’è anche un’incentivazione a trovare un posto di lavoro che, pur non essendo di per sé sufficiente a sostentare il lavoratore, è un’attività professionale che lo aiuta a re-immettersi nel ciclo produttivo. Al contrario il cassintegrato italiano ogni mese che passa perde professionalità e di conseguenza impiegabilità.
Come ritiene che vada riformata la cassa integrazione?
La vera sfida è quella delle politiche attive del lavoro. Occorre reinvestire nella ricollocazione con strumenti per l’impiego che funzionino davvero. Bisogna scommettere nelle opportunità professionali legate a lavori che non siano necessariamente a tempo pieno e indeterminato. Anche impieghi temporanei a reddito ridotto possono consentire al lavoratore di rimanere agganciato al processo produttivo e lavorativo. In questo modo si potrebbe risolvere molta parte dei problemi sia di cassa sia di disoccupazione. Bisogna riformare i centri per l’impiego e capire quale ruolo assegnare alle agenzie private per il lavoro, che finora in Italia hanno occupato una fetta di mercato troppo piccola rispetto alle loro potenzialità e a quanto avviene negli altri Paesi.
(Pietro Vernizzi)