Dopo il rinnovo dei chimici, in casa Confindustria è emerso qualche malumore. Come noto, Stefano Dolcetta – ad del gruppo Fiamm di Montecchio Maggiore e vicepresidente nazionale di Confindustria con delega alle relazioni industriali – ha formalizzato un atto interno, esprimendo il suo dissenso al Presidente Giorgio Squinzi circa modalità e opportunità del rinnovo in questione.
Sullo sfondo, è forte la divergenza di vedute: “Se vogliamo ricondurre all’essenziale – scrive Dolcetta – il motivo del contendere, direi questo: il presidente Squinzi possiede un’industria chimica e, perciò, ha un’esigenza di pace sociale che la firma del contratto gli può garantire. Noi di Federmeccanica, invece, vogliamo mettere al centro della contrattazione il costo del lavoro e la produttività delle aziende. I passaggi con cui Confindustria è arrivata a siglare l’intesa con i chimici, non li abbiamo condivisi”.
Squinzi, oltre a guidare la Mapei come ricorda Dolcetta, è cresciuto con la federazione dei chimici. È uomo d’azienda, di federazione e di sostanza. Quando è stato evidente che a livello confederale con Cgil, Cisl e Uil non si andava da nessuna parte, ha lasciato via libera alle federazioni. Oltre ai chimici, anche gli alimentaristi sono vicini al rinnovo. La questione è molto semplice: sono settori da sempre capaci di trovare soluzioni innovative, e pare che in questo momento ce ne fosse molto bisogno. L’accusa di aver favorito la sua azienda pare molto forzata: la verità sta nella divergenza di vedute e di filosofia tra un settore molto partecipativo (quello chimico) e un settore molto conflittuale (quello metalmeccanico), a onor del vero piuttosto ruspante in tutta Europa.
I problemi della contrattazione restano tanti, e alcuni si accavallano tra di loro: nella scelta delle regole, ci sono commistioni di interessi delle organizzazioni e dei vari livelli organizzativi. Ciò rende difficile trovare delle nitide soluzioni di prospettiva. Il livello confederale non ha grandi spazi, la contrattazione è settoriale. E questa è sempre più decentrata: la Cisl spinge per un maggior decentramento perché è molto presente sul territorio; la Cgil è meno forte della Cisl sul territorio e più verticale come organizzazione, quindi è meno votata al decentramento; le associazioni territoriali di Confindustria sono molto presenti a livello locale e quindi piuttosto aperte al decentramento, ma il livello confederale di Confindustria si spinge meno in quest’ottica per conservare spazi di governance. E via dicendo.
Sono questi i fattori che influiscono sul futuro della contrattazione, e che non sono fattori di prospettiva, bensì figli di dinamiche di interesse, anche legittimo, dovuto alla struttura organizzativa della parti.
Come si evince, politica, ruoli e interessi economici rendono complesso il quadro per chi deve individuare strumenti e risposte concrete ai problemi reali del lavoro e dell’impresa, e non del sindacato o della parte datoriale.
Riflettere sul futuro della rappresentanza è riflettere innanzitutto su nuovi principi, figli di un’economia completamente diversa, su possibili nuovi equilibri federali e confederali. Certamente anche i temi della contrattazione aziendale e della partecipazione dei lavoratori avranno il loro spazio. Ma non c’è dubbio che la questione prioritaria è di natura regolatoria, riguarda le regole del gioco: le Parti al momento non sono riuscite a stabilirle. Lo farà la legge?
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