“Il voto degli elettori delle primarie è l’ultimo appello che ci hanno dato per dire: cambia il Pd per cambiare l’Italia”. Così Matteo Renzi, ieri a Milano, durante l’Assemblea nazionale del suo partito. A onor del vero, le priorità per il lavoro che si sono apprese in questi giorni dal nuovo Pd (migliorare l’incontro domanda-offerta e l’utilizzo dei canali “formali”; crescere la capacità di fare politiche attive; idee nuove per la previdenza per generazione tra i 30-40 anni; contratto a tempo indeterminato “flessibile”), sono punti su cui la Cisl insiste dal 2001. Proprio con il Segretario Generale di via Po abbiamo fatto il punto della situazione in questa intervista: Raffaele Bonanni si mostra soddisfatto della nuova leadership del Pd e dai segnali che arrivano anche dagli ambienti sindacali più conservatori. Tuttavia, ricorda le posizioni che con fatica il suo sindacato e i suoi uomini hanno sostenuto in questi anni, anche pagando un caro prezzo; posizioni che valevano quelle risposte alla crisi di cui parla oggi il partito guidato da Matteo Renzi, «perché – precisa Bonanni – la crisi certamente viene da fuori, ma in Italia è in gran parte il frutto di scelte storiche sbagliate e ritardate».
Segretario Bonanni, sarà capace Matteo Renzi di cambiare il suo partito?
La vittoria di Renzi è un grande evento, è un grande annuncio di cambiamento di una parte importante della politica. O comunque è un grande annuncio di una premessa importantissima per un cambiamento della politica. Ora dipenderà da Renzi, il quale deve affrontare un’epoca diversa. E dovrà farlo in alleanza con le realtà organizzate della società civile, dell’economia e del sociale, più attente agli interessi della gente e più responsabili di quanto lo è la politica. Spero che abbia intenzione di fare questo per dare così sbocco di concretezza a questa importante premessa.
La piazza è particolarmente popolata in questo frangente, ieri c’erano i sindacati ma da giorni il movimento dei “forconi” domina la scena in tutta Italia. Secondo lei, la politica sta comprendendo cosa sta succedendo?
Mi pare che la maggioranza della politica sia più interessata ai ruoli della piazza anziché al suo disagio e a quanto essa esprime. La maggioranza politica è come se volesse legittimarsi attraverso la confusione, come se attraverso la confusione volesse garantire alla propria parte una condizione o di prevalenza o di maggior forza. Siamo davvero lontani dalla responsabilità che ciascuno dovrebbe avere.
Il movimento dei “forconi” esprime il disagio del lavoro autonomo. Non si tratta forse della categoria che più ha subito la crisi tra poca rappresentanza e crediti che vanta dallo Stato?
Certamente è gente che ha molto disagio e che viene messa in forte difficoltà dalla crisi che c’è, ma anche dalle strutture molto fragili di quel tipo di lavoro che in Italia ha percentuali praticamente doppie rispetto, per esempio, al lavoro autonomo tedesco. Parliamo di un assetto produttivo molto polverizzato che non ha uguali in Europa. Tuttavia si tratta di persone che hanno problemi che bisogna risolvere. Ma non vedo un’analisi adatta e un’attenzione adatta se non all’esigenza di montare su carri infuocati: è un gioco molto pericoloso che qualcuno sta facendo.
Renzi dice “il sindacato cambi con noi”. Condivide questo invito rivolto al mondo sindacale?
Sono molto d’accordo con questa affermazione. Il mio sindacato è vittima di una concezione arretrata e conservatrice del sindacalismo. Portiamo ancora le ferite di assalti, di ingiurie, di sedi bruciate, di attentati alle persone – compreso il sottoscritto. Oggi la Cisl viene da un congresso dove ha dimezzato le strutture del territorio e ha rimpicciolito fortemente il numero dei segretari. Continueremo su questa strada, avremo molto da fare. Renzi però deve dire quello che vuole, deve dire quali soggetti rappresentano meglio questa propensione al cambiamento. Al momento è stato molto generico, salvo nell’ultimo mese, quando ha introdotto qualche distinguo.
È d’accordo con le priorità che il nuovo Pd ha individuato per il lavoro?
Per quanto riguarda le intenzioni di riforma in ambito previdenziale, vediamo se Renzi avrà il coraggio di sfidare le assicurazioni e le banche. La mia proposta da molto tempo è quella di rendere obbligatoria la previdenza integrativa, sapendo che oggi siamo sotto il 10% di adesioni ai fondi integrativi, che devono garantire quel 1/3 previsto dalla riforma “Dini” (gli altri 2/3 devono essere garantiti dall’Inps, ndr). Bisogna poi abbassare le tasse sui fondi: siamo all’11%, in Germania pagano non più del 6%. In ultimo, bisogna unificare i fondi integrativi: sono troppi, anche per responsabilità del sindacato. Bisogna unificarli per fare economia di scala. Questa è la mia proposta da tempo, ma quasi nessuno vuol sentirne parlare perché significa mettersi contro le banche e le assicurazioni che vogliono per loro questa grande massa di liquidità.
Cosa pensa del contratto a tempo indeterminato “flessibile”?
Una proposta del genere io la feci già nel 2001, ma anche successivamente, attraverso le pagine de Il Sole 24 Ore e mi costò molto cara (parolacce, sputi, epiteti e quant’altro…). Vediamo se Renzi è capace di liberare il pensiero di grande parte del suo partito, che è stato un grande ostacolo e ha trasformato una cosa semplice in una cosa molto complicata. Non esiste flessibilità che sia contro la gente, se ben retribuita e quindi ben attrezzata di formazione, di previdenza, di maternità e di malattia. Le flessibilità sono inevitabili e saranno sempre più lo strumento ordinario nel lavoro.
Quindi il lavoro flessibile non è lavoro precario…
La flessibilità diventa precarietà quando è mal retribuita; quando è ben retribuita è una cosa buona. Bene quindi il contratto a tempo indeterminato “flessibile”, ma tutto dipende dalla retribuzione. Da tempo sostengo che il lavoro flessibile deve essere pagato molto di più del lavoro non flessibile, proprio perché si presta a interruzioni, a maggior responsabilità, a maggior fatica, a maggior responsabilità, a maggior merito. Il discrimine è quindi la retribuzione economica. Anche qui, voglio vedere come Renzi saprà dialogare con quel mondo del lavoro che ha frenato per lungo tempo queste posizioni. C’è gente che sostiene che la legge “Biagi” abbia creato difficoltà per il lavoro italiano; invece la “Biagi” ha tutelato maggiormente il lavoro flessibile.
Si è fatto cenno anche all’importanza delle politiche attive…
Anche qui. La Cisl ha fatto battaglie affinché gli intermediari privati avessero più spazio. Renzi più che parlare in generale dei sindacati, deve fare dei distinguo e deve portare il suo partito su posizioni più moderne. Ma come e con chi vorrà fare questo? Sarà capace di costruire un blocco di alleanze in grado di trascinare in avanti una realtà italiana statica che ha prodotto questa crisi senza precedenti? Perché la crisi certamente viene da fuori, ma in gran parte è il frutto di scelte storiche sbagliate e ritardate.
In questi giorni Renzi ha incontrato Landini, Susanna Camusso ha dichiarato che “di scioperi generali ne abbiamo già fatti molti, ora bisogna sperimentare forme di protesta non esclusive”. La Cgil sarà capace di cambiare?
Mi fa molto piacere che dalla Cgil arrivino questi segnali, ma ricorderei che per questioni legate allo sciopero ne abbiamo subite di tutti i colori. Sin dall’inizio della crisi avevamo annunciato che non avremmo fatto scioperi, perché in crisi costano di più per i lavoratori e si fa danno alle imprese che già sono in grande difficoltà. Su questo si sono uniti in coro definendoci “sindacati gialli”, definendoci in tutti i modi “non consoni”, quando invece avevamo un atteggiamento molto responsabile e molto riformista. Che oggi qualcuno riveda le sue posizioni mi fa molto piacere, ma ricorderei la fatica e la responsabilità di molti sindacalisti di buona volontà. Molti politici e molti media condividono le responsabilità di scelte mancate, in momenti in cui bisognava prendere posizioni chiare su fatti ordinari ma non si è voluto.
Letta ha parlato di forme di partecipazione dei lavoratori all’azionariato di Poste italiane. È questa la partecipazione che di cui ha sempre parlato la Cisl?
Per noi la partecipazione significa partecipazione agli utili e partecipazione azionaria, a carattere non individuale ma collettivo, e anche a scelte dell’azienda. Letta ha raccolto il nostro appello: quando è intervenuto al nostro congresso, ha detto “credo che siamo pronti a fare ciò che chiedete”. Che oggi abbia dato un’indicazione del genere è assolutamente un fatto storico.
(Giuseppe Sabella)
In collaborazione con www.think-in.it