RIFORMA PENSIONI. Sono iniziati ieri gli incontri tecnici tra Governo e Confederazioni sindacali sul tema delle pensioni. Proseguiranno oggi in serata e domani. Al termine dell’incontro di ieri i dirigenti sindacali hanno rilasciato delle dichiarazioni interlocutorie. “La strada è molto in salita – ha detto Domenico Proietti, segretario confederale della Uil – perché il governo non ha voluto prendere in considerazione i temi della fase 2: le pensioni dei giovani, l’eliminazione delle disparità e il lancio della previdenza integrativa”. Ancora più dura il leader di Corso d’Italia, Susanna Camusso, che rispetto ai meccanismi di adeguamento dell’età pensionabile ha dichiarato: “In questo momento mi pare più interessante iniziare a studiare gli emendamenti per il rinvio che le non risposte del governo al tavolo tecnico”. La segretaria della Cgil conta molto sulla complicità del Parlamento, dove tutti i gruppi (compresi quelle della maggioranza) sono pronti a intestarsi qualche discutibile merito in vista delle elezioni politiche.
Del resto, è stato il premier Gentiloni – nel vertice di Palazzo Chigi – a far capire che il Governo è disposto a “lavarsene le mani” se nei prossimi giorni non si raggiungerà alcuna intesa da tradurre in emendamenti alla Legge di bilancio. Il presidente del Consiglio, infatti, non ha voluto sconfessare Pier Carlo Padoan, quando il ministro ha sostenuto che l’Italia manderebbe un segnale negativo ai mercati – prima ancora che a Bruxelles – se accettasse la richiesta dei sindacati di bloccare o di rinviare il decreto di carattere amministrativo che – dopo l’accertamento dell’Istat – dovrebbe adeguare, in modo automatico, l’età pensionabile e i requisiti contributivi all’attesa di vita, così da raggiungere i 67 anni fin dal 2019. Poi Gentiloni ha allargato le braccia, rimettendosi alla “sovranità” del Parlamento e riconoscendo così un’ulteriore chance ai sindacati, se non dovessero essere soddisfatti dagli esiti del confronto tecnico.
È quindi prevedibile che la “moratoria” sull’età pensionabile non entri neppure a far parte degli incontri di questi giorni, nonostante che il tema sia in agenda. E che gli stessi sindacati – basta tener conto delle affermazioni di Susanna Camusso – si limitino a strappare ulteriori concessioni a proposito delle disponibilità avanzate dal Governo: non applicare l’aggiornamento del requisito anagrafico a quelle categorie per le quali sono operanti sia l’Ape sociale, sia la normativa sui lavoratori precoci e aggiungere altre fattispecie di lavoro disagiato a cui estendere i medesimi riconoscimenti.
È una strada scivolosa che porterà, a ogni occasione, ad allargare la platea di queste tipologie lavorative. Chi mai accetterà, infatti, di non ritenere disagiato il proprio lavoro? Sul piano sistemico si rischia, poi, di fare una gran confusione e prevedere diversi istituti che intervengono in situazioni analoghe se non addirittura simili. Tutto ciò mentre è prevista una disciplina specifica (con requisiti più favorevoli) per i cosiddetti lavori usuranti, peraltro profondamente rivisitata rispetto all’impostazione restrittiva contenuta nella riforma Fornero.
Si tratta di regole definite dieci anni or sono con criteri abbastanza severi. Le tipologie tutelate sono le seguenti: mansioni particolarmente usuranti; lavoro notturno; a ritmi vincolati; guida di mezzi di trasporto con più di nove persone. Sarebbe stato, comunque, preferibile rivedere – e magari ampliare – queste fattispecie, invece di inventarsi la (sotto)categoria del lavoro disagiato, con la minaccia di vere e proprie interferenze (ad esempio: l’infermiere che lavora su più turni è tutelato perché il suo è un lavoro disagiato o perché si svolge anche di notte? Il disoccupato si avvarrà dell’Anticipo pensione o dell’esodo a un’età più ridotta?). L’Ape sociale e l’uscita di sicurezza dei cosiddetti precoci (più il primo che la seconda) avevano il senso di tutelare chi, a una certa età, veniva a trovarsi nella necessità economica, personale o famigliare di disporre di un reddito-ponte prima di maturare il diritto alla pensione secondo i requisiti previsti. Con l’aggiramento dei nuovi requisiti dell’età pensionabile, come si sta ipotizzando ora, il Governo salverà soltanto la faccia, ma non potrà convincere nessuno di essere stato in grado di preservare i punti fondamentali della riforma Monti-Fornero.
Sul tavolo del negoziato svolazza una richiesta che sarebbe amena se non fosse pericolosa: la pretesa di individuare delle aspettative di vita “su misura”, relative alle differenti tipologie di lavoro. Già la delegazione dell’Istat ha chiarito, durante l’audizione informale in commissione Bilancio del Senato, che non esistono, al momento, le condizioni scientifiche per infilarsi in tale ricerca. Poi di solito le persone non fanno quello stesso lavoro tutta la vita, per cui sarebbe molto approssimativo legare i requisiti pensionistici a un dato tanto variabile. La previdenza – aggiungiamo noi – è una materia complessa che richiede riscontri e soluzioni tecniche, su cui innestare le norme chiamate a definire i requisiti per l’accesso a una prestazione sociale predisposta a tutela dei lavoratori che non siano più in grado di procurarsi un reddito lavorando.
Ovviamente, mentre l’invalidità, la malattia, la maternità, la disoccupazione involontaria, l’infortunio sono eventi riscontrabili in via di fatto, non è così per la vecchiaia, che non è definibile secondo canoni biologici, ma soltanto sulla base di una convenzione sociale rivolta a stabilire un limite all’attività lavorativa, sul presupposto che, raggiunta quell’età (legale) il cittadino-lavoratore abbia già fornito a sufficienza il suo contributo al benessere collettivo. Ma i grandi sistemi di welfare che interessano milioni di persone possono essere costituiti soltanto su dati generali. I vestiti su misura si ordinano al sarto.