Nel dibattito in corso sulla riforma del mercato del lavoro, pur non avendo ancora evidenza esplicita delle proposte del governo, i temi sul tappeto riguardano sostanzialmente, da una parte, l’esigenza di una ripresa dell’occupazione, soprattutto per i giovani e le donne, e, dall’altra, il miglioramento degli assetti normativi e contrattuali per trovare risposte più adeguate nell’affronto del binomio antitetico tra flessibilità e sicurezza.
Se fino a qualche decennio fa la sicurezza era sostanzialmente garantita da un’organizzazione produttiva stabile in cui la durata media di un “posto di lavoro” copriva l’arco di un’intera vita lavorativa, oggi la situazione si è radicalmente trasformata: nessuno, né le imprese, né lo Stato, né i lavoratori, è in grado di prevedere quale sarà il percorso lavorativo di chi incomincia a lavorare e “l’esperienza del cambiamento” è certamente ciò che caratterizza e caratterizzerà i percorsi del lavoro.
È in questo scenario che il lavoro, non il posto, acquista una valenza fondamentale per la vita del singolo, delle aziende e delle Istituzioni pubbliche. Come può essere consentita oggi la sicurezza nel percorso lavorativo della persona? La risposta a tale domanda nasce dall’esigenza sacrosanta di salvaguardare la continuità dell’esperienza lavorativa nel contesto di un mercato del lavoro che, pur nei cambiamenti degli ultimi anni, è ancora saldamente ancorato a un sistema di tutele concepito su un sistema produttivo non più attuale. Oggi vanno ricercati nuovi modelli e sono richiesti nuovi strumenti che devono nascere da una diversa cultura del lavoro e dell’organizzazione.
Tra i molteplici fattori in gioco sono certamente determinanti per le persone la continua crescita di competenze e di professionalità, il sostegno economico nei momenti di mancanza del lavoro, la trasparenza in merito alle opportunità della domanda e offerta. Sono elementi che spostano l’attenzione di un “sistema di tutele” dal posto in azienda verso la persona. La persona, infatti, nel contesto attuale e certamente anche in quello futuro, dovrà essere aiutata nell’intraprendere un percorso lavorativo e professionale che gli consenta continuità. L’esigenza di continuità del lavoro è infatti insopprimibile per ragioni di equità (chi non lavora ha difficoltà nel sostentamento) e di efficienza (senza continuità non vi è crescita professionale e si alza quindi il rischio di esclusione dal mercato).
Occorre in questo senso una strutturale riforma del mercato del lavoro che tocchi i temi degli ammortizzatori sociali, dei contratti e, soprattutto, del modello e dei sistemi di servizi per le persone e le imprese. Il termine più affine e ormai noto che certamente sintetizza un nuovo approccio alle politiche del mercato del lavoro è flexicurity. Un termine che indica l’introduzione di un modello di politiche per il lavoro focalizzato sui servizi alla persona. Consente garanzie economiche nei momenti di mancanza di lavoro, sviluppi interventi di formazione e consulenza, sia responsabilizzante verso la persona interessata, sia rivolto all’introduzione o reintroduzione nel mercato.
Nel dibattito attuale si delineano diverse priorità, tra le quali spicca quella relativa alla riduzione del numero dei contratti di lavoro. C’è chi sostiene che è una giungla formata da 46 contratti, ma in realtà i contratti sono 17 (molte sono fattispecie o specificazioni) e quelli che si applicano nella pratica sono 5: il tempo determinato, l’indeterminato, la somministrazione, l’apprendistato e il contratto a progetto. Alcuni di questi sono migliorabili sia nella direzione della flessibilità in uscita (il tanto citato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che interessa il contratto a tempo indeterminato), sia nella possibilità di prolungamento di un tempo massimo fissato in 36 mesi per i contratti a tempo determinato che rischiano oggi di creare situazioni di fuoriuscita “forzate” di lavoratori.
Ma per rispondere alle esigenze di migliorare l’occupabilità (rendere più efficiente ed efficace l’incontro tra domanda e offerta riducendo i posti liberi disponibili tenendo conto del percorso delle singole persone) e aumentare l’occupazione (nuovi posti di lavoro) non è più urgente investire nello sviluppare un sistema di servizi efficiente ed efficace, di cui siamo carenti e favorire lo sviluppo delle imprese per mettere in circolo nuove opportunità?
Nel nostro sistema molte persone in difficoltà sono abbandonate sostanzialmente a se stesse e non è un caso che in questi anni si sia riconosciuto, giustamente, che la famiglia è stata il primario sistema di erogazione degli ammortizzatori sociali, potremmo dire, un reale modello di flexicurity (ha sostenuto bisogni economici, umani ed è stata il punto di creazione di relazioni a supporto di attività di ricollocazione). Nel contempo il nostro Paese ha, con la riforma Biagi, ampliato la rete di Agenzie per il lavoro che possiedono migliaia di operatori sul territorio. Realtà private, imprese sociali istituzioni pubbliche che si trovano spesso ad agire solo in funzione di “logiche private/separate” (certamente positive, ma sottovalorizzate). Non esiste cioè un modello di governance dei servizi capace di valorizzare tale sistema in un’ottica sussidiaria e di cooperazione al fine di rendere maggiormente efficiente ed efficace il mercato del lavoro. È questo un aspetto senza il quale la flexicurity non è attuabile.
L’altro aspetto rilevante e urgente riguarda lo sviluppo e quindi le imprese. Abbiamo un eccezionale patrimonio di capitale umano, che vale la pena ricordare, è il punto da cui ripartire per rispondere alle sfide attuali. Dare priorità allo sviluppo del sistema produttivo è condizione essenziale per la creazione di occupazione. Come è sempre avvenuto nel passato, si sviluppa un nuovo e più moderno sistema economico se si liberano risorse per aggredire nuovi problemi e si diffondono con rapidità le soluzioni più efficienti, mentre, se ci si attarda su vecchi conflitti distributivi di potere e sulla difesa di posizioni di rendita, ci si arena.
Affrontare la riforma del mercato del lavoro senza una concezione e un’ipotesi di sviluppo che faccia perno sulla valorizzazione del capitale umano delle nostre imprese (attuando in particolare forme di sostegno e sviluppo di quelle piccole e medie) e senza intervenire nel creare un sistema di flexicurity per la persona attraverso lo sviluppo di un sistema di servizi potrebbe comportare il rischio di creare qualche positiva modifica, ma poche nuove opportunità.