Il ministro dell’Interno Marco Minniti presenterà oggi, davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, il nuovo piano del governo Gentiloni sull’immigrazione. Domani lo illustrerà, quindi, alla Conferenza Stato-Regioni. L’estensione della rete dei Centri di identificazione ed espulsione (i “famosi” Cie) e la riforma del sistema d’asilo saranno così i cardini del programma del governo, almeno secondo le indiscrezioni emerse sulla stampa italiana negli ultimi giorni.
Le stesse fonti ben informate ci dicono che, com’era stato peraltro già annunciato, la rete dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) sarà estesa. I Cie attivi passeranno, infatti, da quattro a venti, su tutto il territorio nazionale. Alla fine, insomma, se ne prevedrà uno a regione, ma dovrebbero essere escluse Valle d’Aosta e Molise. I centri si chiameranno ora, dopo il restyling, Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e potranno contenere, in un regime di detenzione amministrativa, al massimo cento persone in attesa di essere rimpatriate. Infine, per rispondere a chi denuncia le violazioni dei diritti umani nei centri, si prevede di nominare un’autorità garante del rispetto dei diritti umani.
Sempre secondo le indiscrezioni pubblicate in questi giorni, il “Piano Minniti” prevedrà che sarà obbligatorio per i richiedenti asilo lavorare a partire dal secondo mese dalla presentazione della domanda di tutela. L’impiego di queste persone è, ovviamente, pensato soprattutto per lavori socialmente utili e potrebbe essere un requisito obbligatorio per l’ottenimento della protezione internazionale. In questo quadro verranno attivate una serie di convenzioni con le aziende disponibili ad ospitare i rifugiati come stagisti.
Gli amministratori locali sottolineano che il nuovo piano raccoglie lo spirito, e l’esempio concreto, di molte delle buone pratiche avviate in questi ultimi anni da alcuni sindaci, e comuni, più sensibili al tema. La scelta di fondo è certamente condivisibile perché valorizza il ruolo, e il valore, del lavoro come elemento di integrazione tra vecchi e nuovi, seppur a titolo temporaneo, italiani.
Molti problemi, infatti, relativi all’accettazione dei migranti da parte delle comunità sono legati al fatto che, almeno fino a oggi, questi non potevano svolgere nessun tipo di attività e passavano le loro giornate in un “dorato” dolce far niente. Da domani, almeno se le indiscrezioni di questi giorni saranno confermate, le cose cambieranno.
C’è da auspicare, tuttavia, che il controllo su queste attività “lavorative” sia molto puntuale. Il rischio, infatti, che vi siano abusi è, ahimè, alto. Il fallimento di questa sicuramente coraggiosa sperimentazione potrebbe diventare benzina per i populismi nostrani già pronti a gridare all’ennesimo scandalo.