Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, è intervenuto sulle misure relative al problema degli esodati contenute nella legge di stabilità osservando: “Non penso che sia stato del tutto risolto. Si rischia uno strascico, ci sono forti pressioni per un’ottava salvaguardia”. Boeri ha inoltre proposto il taglio del 50% per i vitalizi dei politici che “superano quota 80-85mila euro all’anno. La platea coinvolta alla fine è piccola, circa 200mila persone”. Ne abbiamo parlato con Patrizia Maestri, deputato del Pd e membro della commissione Lavoro, secondo cui occorrono inoltre misure specifiche di flessibilità per le donne che hanno perso anni di contributi in quanto si sono dedicate ai lavori di cura.
Per Boeri il numero degli esodati potrebbe essere più ampio del previsto. È così? Potrebbe essere. Noi abbiamo visto che le salvaguardie fatte in passato si sono rivelate inferiori rispetto ai numeri che avevamo, tant’è che si sono avuti risparmi. Oggi abbiamo bisogno di far entrare nella settima salvaguardia tutte quelle caratteristiche che non erano presenti nelle altre, per esempio i lavoratori che provengono da aziende fallite.
Dove si possono reperire le risorse? La copertura per Opzione Donna è superiore ai 2 miliardi, perché il governo prevede che ci sarà un numero piuttosto elevato di donne che potrebbero utilizzare questo strumento. A noi però risultano numeri di molto inferiori. Una parte quindi di questi 2 miliardi, che non saranno utilizzati interamente per Opzione Donna, potrebbero essere destinati anche ad altre misure come la salvaguardia degli esodati e le indicizzazioni.
Sempre per Boeri occorre tagliare del 50% i vitalizi dei politici. Lei è d’accordo? Il presidente dell’Inps fa molte esternazioni e apre molti fronti. Abbiamo una proposta di legge a firma di Anna Giacobbe in base a cui le pensioni di chi fa politica dovrebbero confluire in un’unica contribuzione, con un limite massimo per chi ha più vitalizi. Ci sono persone che hanno fatto il senatore, l’europarlamentare e il consigliere regionale: in questo modo invece di avere tre vitalizi ne avrebbero uno solo.
Per il ministro Poletti intanto la flessibilità pensionistica è solo rimandata al 2016. È soddisfatta? Mi fa piacere che il ministro Poletti faccia questo annuncio, perché significa che il tema della flessibilità e dell’età pensionabile è diventato effettivamente centrale. Il governo a questo punto ha compreso la gravità dei danni prodotti dalla manovra Fornero e quindi intende correggerli. In commissione Lavoro ci sono diverse proposte di vari gruppi. Il ddl Damiano, sottoscritto da tutti i deputati del Pd, introduce la possibilità di anticipare l’età pensionabile a 62 anni a fronte di una penalizzazione. Il part time dunque non è la risposta che attendevamo, se non intesa come sperimentazione e come verifica di quello che si potrà creare in futuro.
C’è qualcosa di positivo in questa legge di stabilità?
Il dato positivo è il fatto di confermare la legge 243/2004 chiamata Opzione Donna per chi raggiunge i requisiti entro il 31 dicembre 2015. Resta però un problema aperto, su cui intendiamo intervenire con un emendamento, che riguarda le donne che compiono gli anni tra l’1 ottobre e il 31 dicembre. La legge 243 dice che il governo dovrà verificarne i risultati al fine di una sua eventuale prosecuzione. Mi auguro che si possa quindi riproporre per il futuro.
Meglio attuare il ddl Damiano o estendere Opzione Donna anche agli uomini? La proposta migliore è l’uscita anticipata a 62 anni con penalizzazioni, perché consente comunque di uscire a un’età anticipata nonché una perdita ridotta rispetto all’entità della pensione. Lo stesso presidente dell’Inps ha fatto alcune riflessioni sul possibile risparmio che deriverebbe da un calcolo interamente contributivo di tutte le pensioni, ma questo produrrebbe un problema di impoverimento molto alto.
Che cos’altro propone sul piano delle pensioni? Nella proposta che noi facciamo per la flessibilità abbiamo anche inserito una forma di riconoscimento specifico per il lavoro di cura delle donne. Chiediamo che alle donne sia comunque riconosciuta la possibilità di andare in pensione prima, chiedendo uno sconto sull’età perché sulle donne grava ancora il carico sia del lavoro domestico sia di quello di cura. È questo il motivo per cui le donne fanno maggiore fatica ad arrivare a 41 anni di contributi.
(Pietro Vernizzi)