Benché l’iter del Milleproroghe sia giunto al termine in tempi relativamente rapidi, gran parte delle questioni che avrebbe dovuto affrontare sono ben lungi dall’essere state risolte. In particolare, pe quel che riguardale pensioni. Vi è una parte, come è ormai noto, di lavoratori esodati, precoci e usuranti che, attualmente, figurano tra le categorie maggiormente penalizzate. Ma non solo. Anche su quota di docenti e personale scolastico incombe la falcidia della riforma Fornero. Mariangela Bastico, senatrice del Pd, già sottosegretario all’Istruzione, spiega a ilSussidiario.net a quali penalizzazioni, se non si modifica in fretta la normativa, migliaia di persone vanno incontro. «La nostra – afferma – è una battaglia all’insegna della giustizia. Gli insegnanti, a differenza di tutti gli altri lavoratori, possono andare in pensione in un unico giorno dell’anno, il primo di settembre». Va da sé che, in ragione di tale vincolo, rischiano di vedersi spostato l’accesso al trattamento previdenziale di un periodo compreso tra gli uno e gli undici mesi. «Perché spostare dal 31-12-2011 al 31-08-2012 la data entro la quale viene misurato il possesso dei requisiti necessari per andare in pensione con le norme antecedenti alla riforma Fornero?», si domanda la senatrice. Il ministro, dal canto suo, «ha reputato la battaglia, nel merito, sacrosanta; del resto, non avrebbe scalfito l’impianto complessivo della riforma». Ma – il problema è sempre lo stesso – non si era trovata la copertura.
Con la differenza che, rispetto agli altri casi, questa volta si potrebbe trattare di un errore grossolano. «Il Miur (che dispone dei dati relativi a: numero di dipendenti, stipendi, avanzamento di carriera e via dicendo) aveva calcolato che, per eccesso, gli aventi diritto fossero 3.500. Il ministero dell’Economia, invece, ne ha contati circa il doppio. Ora: oltre al fatto che il Miur è, evidentemente, l’istituzione maggiormente in grado di fornire queste informazioni nella maniera più precisa, la Ragioneria generale dello Stato si è avvalsa anche dei calcoli di alcuni giornali che stimavano gli aventi diritto in circa 10mila. Che, di certo, non possono essere considerati una base scientifica alla quale affidarsi».
La controversia tra ministeri, quindi, ha prodotto previsioni di spesa decisamente diverse. «Noi abbiamo quantificato il costo dell’intervento in 239 milioni di euro, il ministero dell’Economia in circa 600». Secondo la senatrice, è stato fatto un altro grave errore: «Il ministero ha contabilizzato come costi aggiuntivi anche il calcolo dei Tfr, senza considerare che, prima o poi, li avrebbero dovuti in ogni caso pagare». Come se non bastasse, un’ipotesi di copertura praticabile era stata individuata. «Avevamo proposto una serie di voci la cui principale era l’incremento della tassazione sul gioco d’azzardo; un’imposta che avrebbe avuto anche un evidente significato etico e politico». E adesso?
«Credo e auspico che i margini per un ricalcolo preciso ci siano. Specie se si considererà il fatto che i giovani che sostituirebbero i docenti o il personale Ata andati in pensione costerebbero molto meno; sia nel caso fossero precari che, com’è auspicabile, fossero assunti in ruolo». Per la senatrice, sarà necessario identificare gli strumenti più opportuni nel minor tempo possibile: «Non credo che la riforma del lavoro possa essere il luogo adatto: si è deciso, questa volta, di non procedere per decreto. Il che significa che la sua elaborazione richiederà del tempo. Meglio, quindi, un provvedimento ad hoc che sani quanto prima i nodi irrisolti».
(Paolo Nessi)