Meno tasse sul lavoro e un ministro che viene dal mondo delle cooperative come l’ex presidente di Legacoop, Giuliano Poletti. Nel programma del neo-premier, Matteo Renzi, ci sono “provvedimenti choc” come la riduzione dell’Irpef di un punto per le prime due aliquote (23 e 27%) e per i redditi più bassi e il taglio del cuneo fiscale. Le misure sarebbero compensate attraverso la spending review e l’aumento delle rendite finanziarie. L’obiettivo è quello di fare vedere all’Europa che l’Italia sta mettendo in atto le riforme necessarie e riuscire così ad aver condizioni meno pesanti dal punto di vista finanziario. Per l’ex ministro del Lavoro e attuale membro del Cnel, Tiziano Treu, il nuovo governo sta andando nella giusta direzione.
Come valuta il taglio del cuneo fiscale prospettato da Matteo Renzi?
Il taglio del cuneo fiscale è da sempre fondamentale e rappresenta una priorità assolutamente necessaria. Il problema è quante risorse riuscirà a mobilitare e quali saranno le dimensioni del taglio.
L’aumento delle tasse sulle rendite finanziarie e la spending review possono finanziare la riduzione dell’Irpef e il taglio del cuneo fiscale?
Esiste un insieme di fonti possibili, ma saranno il premier Renzi e il ministro dell’Economia Padoan a decidere come si debbano combinare. E’ a loro che spetta la decisione su quanto si debba prendere dalle tasse e quanto dalla spending review, o eventualmente anche da altre fonti.
Che cosa ne pensa dell’ipotesi di una riduzione dell’Irap?
Il taglio dell’Irap è la modalità principale attraverso cui è possibile l’abbattimento del costo del lavoro.
Passiamo alla scelta del nuovo ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che è stato presidente nazionale di Legacoop. Quali novità porterà?
Il ministro Poletti è un uomo di grande esperienza. Come lui stesso ci tiene a sottolineare, pur avendo una forma di cooperativa il mondo da cui proviene è pur sempre imprenditoriale. L’idea di Poletti è che tutte le aziende debbano puntare di più sulla partecipazione, anche se questo non deve trasformarsi nell’applicazione meccanica di uno schema. Si tratta di una presa di posizione che è in linea con uno dei punti indicati dallo stesso Renzi.
Quanto conta il fatto che Poletti non venga dall’università bensì dal mondo dell’impresa?
Al di là delle sterili contrapposizioni, Poletti ha una grande esperienza concreta e una pratica di dialogo con le parti sociali. Lo ritengo un fatto molto positivo. Le sfide che dovrà affrontare sono difficili, ma quello che ci vuole è una persona che crede nel dialogo e che ha esperienza di partecipazione.
Quali sono le sfide più urgenti che attendono Poletti?
In primo luogo, come dicevamo, dare fiato all’economia e quindi ridurre il peso del Fisco. In secondo luogo, nell’ordine specificato dallo stesso Jobs Act, occorre semplificare, togliere procedure che pesano sulle aziende, e soprattutto sulle piccole imprese. Si può poi intervenire naturalmente sulla semplificazione dei tipi negoziali, compreso lo stesso Jobs Act di Renzi.
Il contratto unico può rispondere alla multiformità del lavoro in Italia?
Quello previsto nel Jobs Act non è un contratto unico, questo è un modo di dire che non risponde a verità. E’ un contratto di entrata che è reso più facile perché per i primi tre anni non ha rigidità. Restano però gli altri contratti come lo stesso contratto a termine, che mi auguro sarà però semplificato, e allo stesso modo resta il contratto di somministrazione.
Poletti non viene dal mondo del sindacato. Quali possono essere le conseguenze di questo fatto?
E’ da diverso tempo che i ministri del Lavoro non vengono dal sindacato. L’ultimo a essere venuto dal sindacato è stato Marini. Poletti quindi da questo punto di vista non rappresenta un’eccezione alla regola. Il fatto che ritengo fondamentale, e che può rappresentare la vera novità, è il fatto che il ministro viene da un tipo di impresa che ha creduto molto nella partecipazione.
(Pietro Vernizzi)